16 maggio 2010

Stalker (Andrej Tarkovskij, 1979)

Stalker (id.)
di Andrej Tarkovskij – URSS 1979
con Aleksandr Kajdanovskij, Anatolij Solonitsyn
****

Rivisto in DVD, con Marisa, Giovanni, Rachele, Ginevra ed Eleonora.

In seguito alla caduta di un meteorite, una gigantesca regione denominata "la Zona" – ora disabitata – viene dichiarata off limits. L'esercito ne sorveglia i confini, vietando l'accesso a chiunque, anche perché al suo interno si verificano fenomeni misteriosi e chi vi si inoltra non fa più ritorno. Ma alcune guide che operano illegalmente, i cosiddetti "stalker", possono accompagnare chi ne ha più bisogno fino alla stanza che si trova al centro della Zona e che ha il potere di far avverare i desideri più segreti, profondi e inconsapevoli. Pochi però hanno il coraggio di entrarvi: esemplare è il caso di un uomo che era giunto fin lì per salvare la vita del fratello e si era invece ritrovato immensamente ricco, rendendosi così conto della propria natura egoistica. Adattando a modo suo un racconto dei fratelli Arkadj e Boris Strugatskij ("Picnic sul ciglio della strada"), Tarkovskij torna alla fantascienza sette anni dopo "Solaris" con un film simbolico e profondo, stilisticamente costruito su long takes e lenti movimenti di camera e ambientato in un "non luogo" fatto di campi incolti, case diroccate o allagate, cunicoli, rovine, natura selvaggia e acquitrini, evidente metafora del viaggio nel proprio inconscio. Come uno psicanalista, lo stalker guida i suoi clienti (individui infelici o alla ricerca di una maggior consapevolezza di sé) in un territorio ostile e ambiguo, dove la strada più corta non è mai quella diretta, per procedere occorre affidarsi agli istinti e alle intuizioni (il lancio dei dadi), gli scenari e gli ambienti mutano in continuazione a seconda degli stati d'animo, ed è pericoloso inoltrarsi armati o con intenzioni distruttive. I due personaggi senza nome che assoldano il protagonista per farsi condurre fino alla stanza sono uno scrittore (in crisi personale e creativa) e un professore (un fisico che ha in realtà intenzione di distruggere la stanza miracolosa con una bomba), dunque un intellettuale cinico e un materialista scettico, simboli delle due attività umane – l'arte e la scienza – che, se lasciate senza una guida consapevole, diventano sterili, inutili e fini a sé stesse. Lungo il cammino, lo stalker li indirizza sul giusto cammino mentre lui stesso si mantiene sempre un passo indietro, e rimane deluso quando coloro che ha guidato non hanno il coraggio di "credere", di andare fino in fondo.

Simbolo della natura selvatica della Zona, o forse di quella instintiva dell'uomo, è anche il cane nero che lo stalker riporta a casa con sé: scuro, silenzioso, impenetrabile, eppure dolce e mansueto. Non mancano altri suggestivi paralleli, come quelli con Virgilio, che accompagna Dante attraverso gli inferi, oppure con Gesù Cristo: a un certo punto lo stalker comincia a raccontare l'episodio dei discepoli di Emmaus, e verso il finale lo scrittore si mette sul capo una corona di spine. Un'ulteriore, curiosa e possibile sovra-interpretazione è quella dello stalker come Dungeon Master di un gioco di ruolo, che guida i giocatori attraverso trappole e gallerie nei meandri di un territorio che si modifica man mano che si procede, e che per scegliere la direzione da prendere "tira i dadi" (anche se nel film si tratta di dadi da bulloni, non di poliedri da gioco!). Quello dello stalker è comunque un mestiere – oltre che illegale – anche pericoloso, che segna nello spirito e nel corpo. Fuori dalla Zona, ad attenderlo c'è però una famiglia: la moglie paziente e devota – che in una breve scena si rivolge direttamente agli spettatori per spiegare la difficoltà della propria relazione con il marito – e una figlia "mutante", dotata di poteri telecinetici, che conclude la pellicola recitando una poesia (di Fyodor Tjutchev, mentre altri versi che vengono citati nel film sono del padre di Tarkovskij, Arsenij). Molto interessante la fotografia, che alterna scene a colori (per le sequenze ambientate all'interno nella Zona e per quelle, nel finale, con la figlia dello stalker) ad altre girate in monocromia (un color seppia che sembra un quasi bianco e nero, riservato al mondo esterno). Gran parte del film, la cui lavorazione non fu priva di intoppi, è stata girata presso una centrale idroelettrica abbandonata in Estonia. Se l'idea del meteorite è probabilmente ispirata all'evento di Tunguska del 1908, sette anni dopo l'uscita del film si verificò invece l'incidente di Chernobyl: la regione attorno alla centrale nucleare venne evacuata e coloro che avevano il compito di curare la bonifica, almeno stando a Wikipedia, cominciarono a definirsi "stalker" e a chiamare l'area abbandonata "la Zona".

20 commenti:

Marisa ha detto...

Complimenti! Sei riuscito a dare una lettura sintetica e profonda ad uno dei film più belli e complessi della storia del cinema. Non finiremo mai di trovare significati alla "Zona" perchè ogni analogia ne apre un'altra e tutte possono essere pertinenti, se si seguono i "dadi" delle intuizioni e dei sogni...
Per una riflessione più particolareggiata vedi i post sul blog di Giuliano. Te lo consiglio!

Christian ha detto...

Lo so, Giuliano con i suoi post e tu con i tuoi commenti avete sviscerato questo film così ricco di significati e di particolari fin nei minimi dettagli, anche grazie a immagini e citazioni... ^^
Io invece confesso di aver fatto un po' di fatica a scriverne: penso che si tratti di una pellicola da vedere più volte e da "assorbire" senza fretta, prendendosi il giusto tempo.

Giuliano ha detto...

Lanciare i dadi o tirare a sorte fa parte di molte storie e di molte culture: la prima cosa che mi viene in mente è l'I-Ching, poi Stevenson nel "Signore di Ballantrae", ma anche in Africa (tra i Masai, mi pare: ma potrei sbagliare)si gettano oggetti vari (ossa, pietre) per avere un'indicazione - queste cose, antiche come l'uomo, sono state riprese in molti film.
Pensa anche ai tarocchi...

Ma questo è solo uno degli aspetti del film. Poterlo vedere al cinema quando uscì, e anche dopo, è stata una fortuna; l'altro lato della medaglia è però che bisogna anche avere una certa età, ahimè.
Mi associo ai complimenti per la sintesi!

Christian ha detto...

Però questo sistema di procedere, previo il lancio dei dadi, è un po' strano. Nell'I-Ching si lanciano le monete per poi interpretarne il risultato (e lo stesso fanno gli sciamani o gli aruspici con le ossa e altri oggetti, o chi legge le carte e i tarocchi), insomma le monete danno un'informazione che può essere positiva o negativa. Lo stalker invece non sembra interessato a un "responso" (tanto che non c'è mai un lancio che produce un risultato "negativo": dovunque lanci i dadi, poi ci si muove effettivamente in quella direzione, come se il lancio servisse solo a chiedere il "permesso" alla Zona prima di avanzare). È quasi come la fiaba di Pollicino al contrario: invece di far cadere dietro di sé oggetti per segnare la strada del ritorno, gli oggetti vengono lanciati in avanti per segnare la strada dell'andata... E sembra quasi che sia proprio lui a scegliere la direzione in cui lanciare i dadi: non coscientemente, certo, ma con l'istinto.
L'altra scena del film in cui si tira a sorte è quella in cui si deve decidere chi dovrà entrare nel tunnel (il "tritacarne"): da notare che anche in quel caso lo scrittore sospetta che lo stalker abbia "barato" per costringere lui ad andare avanti per primo.

Marisa ha detto...

E' vero,perdipiù nella "Zona" non si può tornare per la stessa strada percorsa. Già all'inizio vediamo lo Stalker rimandare indietro il carrello, perchè non potrà più servire e non sappiamo che strada percorrono al ritorno perchè, dopo la drammatica scena alle soglie della stanza, vediamo i tre nel bar dell'inizio. Sembra che aver deciso di non entrare nella famosa stanza li collochi già fuori dalla "Zona".
Come nella vita d'altronde non si può mai tornare indietro...

marco c. ha detto...

complimenti per la recensione. buon lavoro

Spinoza ha detto...

Capolavoro. Se con Soljaris ho fatto molta più fatica a farmi prendere, Stalker mi ha pervaso sin dal primo istante.

Giuliano ha detto...

Quando sono uscito dal cinema ero molto impressionato; poi mi sono chiesto: "sì, ma questo qua in fin dei conti ha solo filmato un prato..." Come si fa a fare dei film così impressionanti filmando un prato?
Tieni presente che era l'epoca di Lucas & Spielberg... Per me è da queste cose che si vede se uno è veramente grande. I movimenti di macchina di Tarkovskij sono stati copiati da molti, in seguito.

Christian ha detto...

Probabilmente è anche il mio preferito fra i film di Tarkovskij, anche se molti (come "Andrei Rubliov", "Lo specchio" e "Nostalghia") dovrei rivederli...

È certamente lento, richiede pazienza e disponibilità, a molti sembrerà noioso, ma ricordo che mi aveva impressionato sin dalla prima volta che l'ho visto (forse non ero nemmeno maggiorenne...), anche se solo per l'atmosfera e le immagini e il fascino "misterioso" della zona e della stanza dei desideri. Ogni visione successiva, ora che riesco a coglierne un po' i significati, mi ha "acchiappato" di più.

Spinoza: Io "Solaris" l'ho finalmente apprezzato solo quando ho visto la versione integrale (con oltre un'ora di scene, ambientate all'inizio sulla Terra, che nella versione italiana erano state tagliate).

Giuliano: Conosci Tsai Ming-liang? Mi incuriosirebbe un tuo parere, per esempio, su "Goodbye Dragon Inn", "Vive l'amour" o "The hole"...

eleonora ha detto...

Innanzitutto, complimenti a Christian per la sua recensione che ha saputo riassumere curiosità e i riferimenti ai numerosi simboli che il film ci propone. Quello che per me è stato l’aspetto più affascinante e stimolante è stata la Zona, la sua particolare natura e il suo inesauribile valore simbolico; inesauribile non perché a essa si possano far corrispondere molte cose, ma perché restituisce perfettamente le dinamiche complesse, inafferrabili e infinitamente interpretabili del funzionamento della psiche e dell’inconscio. Innanzitutto ho trovato formidabili le “regole” della Zona: esse cambiano nel corso del viaggio, cambiano a ogni nostro passo, cambiano con noi: non si tratta di un sistema chiuso e definito di cui possiamo comprendere le leggi come osservatori esterni; Tarkovskij, grazie alla Zona e alla sua speciale natura ha saputo rovesciare, senza invertirle, le polarità “dentro” e “fuori” trasformandoli in concetti correlativi e continuamente reversibili, mostrandoci così la realtà più profonda della psiche umana (ma forse non ha più senso limitarsi alla sfera umana, si ha l’impressione che il registra si stia spingendo e una riflessione più “cosmica” ). Il simbolo della Zona descrive perfettamente il particolare rapporto che ognuno di noi intrattiene con se stesso e con la sua natura più profonda: il tentativo di mettersi in contatto con il proprio sé ricalca infatti il percorso dei protagonisti i quali, se all’inizio sembrano addentrarsi in una zona ALIENA, totalmente ALTRA, gradualmente prendono coscienza di quanto essa li riguardi profondamente e di quanto essi non siano, da sempre, profondamente implicati in essa. La Zona può essere Inferno, Purgatorio o Paradiso, “dipende da noi”, e tuttavia, questo non riduce la Zona (e la psiche) a qualcosa di determinabile in modo volontaristico dall’io, anzi, è proprio attraverso l’abbandono di volontà, resistenza, difese (lo zaino, le armi) che possiamo veramente interagire con essa. L’apprendimento di tale abbandono è possibile grazie alla guida, il quale, lungi dal conoscere “razionalmente” la Zona, sa che è impossibile conoscerla del tutto, e che è necessario, ogni volta, rimmergersi nel suo grembo per ristabilire un nuovo equilibrio con essa. So che si tratta di un parallelismo molto azzardato, ma questo film mi ha fatto pensare, per opposizione, a Inland Empire, di David Lynch: anche il regista americano ha voluto lavorare sul rapporto dentro/fuori, sprofondando tuttavia in un “dentro” senza uscita, senza regole, che soffoca lo spettatore. E’ facile che l’intento di Lynch potesse essere proprio la messa in opera dello sprofondamento nella follia, e quindi in un dentro che ha perso ogni contatto con la “realtà”. L’operazione di Tarkovskij invece, ha saputo, attraverso il simbolo della Zona, mostrare le implicazioni reciproche fra l’io e la sua natura più profonda e le “leggi” che le governano. Ora sarei curiosa di vedere Solaris…

Giuliano ha detto...

No, conosco poco Tsai Ming-liang; però mi è venuto in mente che Kim Ki-duk, nell'Isola, anche lui - in dei conti - ha soltanto filmato l'acqua di un lago...
:-)
Elenora, attenta che la prima ora di Solaris è pesantina. Un gran film, da vedere, ma qui bisogna ricordare i consigli di Daniel Pennac per i libri: i diritti del lettore. Oggi con il dvd si può fare come con i libri: saltare le pagine, leggere prima la fine poi l'inizio, cominciare da metà, anche non leggere se non è il momento...(io ne approfitto spesso!)

Massimo Volpe ha detto...

Grande film e bellissima recensione che mi ha spinto a mettere in cantiere una ri-visione del film: i ricordi ormai risalgono a poco dopo l'uscita del film.

Missile

Christian ha detto...

Grazie a te, Eleonora, per le riflessioni. Proprio la natura mutevole e misteriosa della Zona, specchio di noi stessi, la rende affascinante e vera protagonista della pellicola (Tarkovskij avrebbe potuto girare un altro film con altri personaggi al posto dello scrittore e del professore, e poco sarebbe cambiato). Curioso notare che nel racconto dei fratelli Strugatskij, da cui è tratto il film, veniva detto chiaramente che la Zona era di origine aliena (generata da un manufatto extraterrestre), mentre Tarkovskij sorvola bellamente sulla questione.

Giuliano: Hai ragione: e anche "L'isola" racconta di un "luogo" fuori dal mondo, in cui ritrovarsi; e anche lì c'è chi ci va con intenzioni distruttive.
Io Tsai l'ho spesso associato a Tarkovskij: non (sol)tanto per i contenuti, quanto per la lentezza e per l'ossessione per acqua e allagamenti...! ^^

Missile: Personalmente, ogni ri-visione di questo film me l'ha fatto comprendere e piacere un po' di più...

Marisa ha detto...

Dopo tanto ragionare provo a fare una sintesi estrema: i nostri traumi contengono anche il segreto della nostra realizzazione.
Il prezzo?:imparare a dirsi la verità, magari con l'aiuto di un maestro.

Giuliano ha detto...

Della fantascienza in sè, a Tarkovskij non interessava nulla: lo dice apertamente un po' ovunque, lo si può ascoltare anche di persona in "Tempo di viaggio", il film che ha girato con Tonino Guerra (è sul dvd di Nostalghia).
Spiega che la fantascienza gli interessa ma solo come punto di partenza, mostrare le astronavi o gli omini verdi non era il suo mestiere - ma per Solaris fu costretto a occuparsene, e il fatto che quelle scene le abbia girate senza sentirne il bisogno si nota!
:-)
Aggiungo che, se si vuole tornare ai film di grande qualità, l'unica strada è affidarsi ai "matti" come Fellini, come Tarkovskij, come Kim Ki-duk, come Kubrick, come Antonioni, come Wellese, come Kurosawa...(elenco lunghissimo!).
"Matti" nel senso di liberi, soprattutto: liberi dalle leggi del marketing e degli spot.

Spinoza ha detto...

Christian: io ho visto solo la versione estesa di Soljaris... per quanto riguarda "lo specchio", stranamente l'ho detestato... mah...

Maria Candida Ghidini ha detto...

sono un po' in ritardo con il commento, ma leggo solo ora questa bellissima sintesi di una materia così magmatica. Volevo solo aggiungere una postilla alla questione della "Zona". In russo la parola ha un significato che viene subito in mente, la prima associazione immediata è ai campi di concentramento, che venivano chiamati appunto "Zona", Зона. Non è solo questo naturalmente. Ma non può non essere stato presente a Tarkovskij e credo sia uno di quei miracoli che riescono ai grandi: accennare anche al concreto, alla storia, al politico parlando di altro.
Infine, per la fantascienza, l'uso che ne fa Tarkovskij, ma anche gli Strugackie e altri in quegli anni, mi ricorda tanto Philip K DIck. Gli stessi anni, la stessa corrosiva critica alla società del proprio tempo...

Christian ha detto...

Grazie per l'ìnformazione sulla parola "zona", Candida, che in effetti aggiunge un ulteriore significato a questa pellicola già così complessa. Il fatto che la zona sia circondata da militari e filo spinato (anche se lo scopo è impedire l'ingresso, non l'uscita!) si sposa bene con questa possibile lettura...

Quanto alla fantascienza, negli anni '60 e '70 era davvero un genere utilizzato frequentemente per analizzare l'uomo, fare speculazioni o criticare la società (da "Ultimatum alla Terra" passando per "Fahrenheit 451" e "2022: i sopravvissuti"). In seguito, almeno al cinema e forse per "colpa" di George Lucas o degli effetti speciali, è diventata soltanto sinonimo di azione, avventura e intrattenimento leggero, anche se non mancano rari e sporadici casi di SF vecchio stile (per esempio "Gattaca").

Adriano Max ha detto...

Non ho molto da aggiungere alle riflessioni già fatte, se non che il 'lancio dei dadi' può essere a mio avviso letto come una 'sonda'. Un modo di propagarsi in avanti prima di procedere. Credo che questo aspetto del muoversi staccando una parte del sè e lanciandola avanti possa aprire spunti ad ulteriori riflessioni... un film inesauribile. Grazie Christian e ciao ! Adriano.

Christian ha detto...

Ciao Adriano, e grazie del commento!
Hai proprio ragione, è un film che continua a offrire spunti anche dopo mille visioni. A presto!