4 febbraio 2010

Hana-bi (Takeshi Kitano, 1997)

Hana-bi - Fiori di fuoco (Hana-bi)
di Takeshi Kitano – Giappone 1997
con Takeshi Kitano, Kayoko Kishimoto
****

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele, Ilaria, Ginevra e Sara.

La vita di Nishi, poliziotto duro e taciturno, sembra precipitata in una spirale senza uscita: la figlioletta è morta; la moglie è malata terminale; il suo partner Horibe rimane paralizzato dopo una sparatoria; Tanaka, un altro collega, viene ucciso in uno scontro a fuoco; lui stesso è costretto a lasciare il lavoro; e in più ha contratto un grosso debito con uno strozzino della yakuza. L'uomo decide allora di rapinare una banca, di usare il denaro per estinguere i debiti (oltre che per aiutare economicamente la vedova di Tanaka e l'amico Horibe, delle cui disgrazie si sente responsabile) e di partire con la moglie per un ultimo e disperato viaggio attraverso il Giappone e verso il nulla, inseguito sia dagli yakuza, che vorrebbero tutto il suo denaro, sia dagli ex colleghi della polizia. Con questo straordinario e commovente film, meritatissimo vincitore del Leone d'Oro al Festival di Venezia e capace di fondere mirabilmente due anime apparentemente contrapposte (una più secca e violenta e una più contemplativa e compassionevole, dove le emozioni si nascondono dietro una maschera di lancinante impassibilità), il genio di Kitano si è finalmente fatto conoscere anche dal grande pubblico occidentale: in precedenza i suoi film erano da noi passati soltanto a "Fuori orario"; i lavori successivi, per lo meno fino a "Zatoichi", sono invece usciti anche nelle sale cinematografiche, prima che l'avvento dei multiplex e l'attuale riflusso hollywoodiano gli sbarrasse di nuovo le porte (a lui e al cinema asiatico in generale).

Il tema principale del film, naturalmente, è la malattia: quella di Horibe, il poliziotto rimasto paralizzato e abbandonato dalla propria famiglia (interpretato da un toccante Ren Osugi), e quella di Miyuki, la moglie di Nishi. Rispetto a "Violent cop", dove già l'argomento affiorava, Kitano lo affronta in maniera più diretta e consapevole, anche per averlo vissuto in prima persona con la lunga convalescenza seguita al drammatico incidente in moto di cui era rimasto vittima nel 1994. Proprio nei mesi trascorsi in ospedale Kitano aveva cominciato a dipingere, aggiungendo un'altra capacità alle numerose e versatili doti che testimoniano della sua natura di artista a tutto campo (cabarettista, comico, conduttore televisivo, scrittore, attore, regista, musicista, ballerino...). E i suoi quadri compaiono diffusamente lungo tutta la pellicola: non soltanto appesi sulle pareti dei più svariati ambienti (nel bar, nel ristorante, nell'ospedale, nella banca, persino nell'ufficio degli yakuza) ma anche riprodotti nei disegni e dipinti naif realizzati da Horibe, che presentano una bizzarra commistione fra flora e fauna e che a volte vengono visualizzati come immagini mentali prima ancora di essere effettivamente messi su carta. A differenza di Nishi, che segue fino in fondo la sua strada verso la morte, Horibe – pur paralizzato – riesce lentamente a mettere da parte gli impulsi autodistruttivi e trova proprio nell'arte la pace e un nuovo scopo per vivere: lo dimostra la scena in cui, dopo aver dipinto un paesaggio innevato sui cui spicca l'ideogramma rosso che significa "suicidio", lo cancella con una spruzzata di colore (disorientando peraltro per un attimo lo spettatore con il dubbio che l'uomo si sia invece davvero suicidato). Gli inserti con Horibe, che fanno da continuo contrappunto e scorrono in parallelo con le sequenze legate a Nishi, servono dunque a fornire almeno in parte uno sbocco positivo alla pellicola.

Anche in un film così tragico e disperato, comunque, Kitano trova il modo di scherzare e di inserire – oltre a tocchi di malinconica poesia (Nishi che osserva il triciclo e le ciabattine da bambino nell'androne, oggetti che evocano il ricordo della figlia perduta) – anche momenti di irresistibile umorismo, con personaggi-macchiette (lo sfasciacarrozze e la sua assistente, il tizio con il furgoncino), situazioni buffe (Kitano e la moglie alle prese con l'autoscatto, con la buca nella neve, con il gioco delle carte da indovinare) e sequenze cariche di leggera ironia (Horibe che si prova il basco e poi lo mette da parte, Miyuki che mangia il dolce del marito); persino le scene di violenza assumono talvolta risvolti comici e caricaturali (i due lavoratori al parcheggio che imbrattano la macchina di Nishi, l'uomo sgarbato sulla spiaggia, lo sgherro yakuza colpito dal killer con un vaso), mentre altre brillano naturalmente per l'asciuttezza, il realismo e le folgoranti trovate registiche (la sparatoria in cui muore Tanaka, quella di cui resta vittima Horibe, lo sterminio degli yakuza in macchina). La violenza è spogliata di ogni spettacolarità e mostrata come un atto quasi necessario: scoppia all'improvviso e si conclude altrettanto rapidamente, spesso restando addirittura fuori scena. Molte sequenze riecheggiano, stravolgendole, altre già viste nei film precedenti del regista: la rapina in banca, per esempio, ricorda quelle tentate senza successo dal protagonista di "Getting any?"; la caduta nella neve fa pensare alle buche scavate nella sabbia in "Sonatine"; il viaggio verso la morte richiama quelli di "Violent cop" e dello stesso "Sonatine", ma il suicidio finale appare qui ancor più inevitabile: non una fuga ma quasi un obbligo morale.

A una prima parte incentrata sul ricordo (con continui salti temporali nel montaggio, come nel flashback della sparatoria nel mezzanino della metropolitana) ne segue un'altra che racconta il viaggio intrapreso da Nishi con la moglie attraverso il Giappone. Anche in questo caso, però, lo spostamento non è solo spaziale (i luoghi turistici, le montagne, il mare) ma pure temporale (vengono attraversate tutte le stagioni: la primavera, con i ciliegi in fiore; l'estate, con i fuochi d'artificio; l'autunno, con la spiaggia spazzata dal vento; l'inverno, con il manto di neve). Come spesso capita nel cinema di Kitano, il percorso si conclude davanti al mare. Qui il mutismo quasi insopportabile della coppia, che comunica con gli sguardi e i gesti più che con le parole, si scioglie finalmente nella conclusione più naturale: il ringraziamento da parte della donna per l'amore e la tenerezza che il marito ha saputo donarle nei suoi ultimi giorni di vita, con i due colpi di pistola che bloccano per un attimo la struggente colonna sonora di Joe Hisaishi ma non il rumore delle onde, il tutto di fronte allo squardo stupefatto e innocente della bambina (Shoko Kitano, la figlia di Takeshi) che gioca con l'aquilone. "Io non ce la farei mai a vivere così", commenta, a mo' di epitaffio, il poliziotto giovane (Susumu Terajima). La regia offre spesso soluzioni sorprendenti (la rapina in banca mostrata attraverso la registrazione delle camere di sorveglianza), e non si fa problemi a utilizzare inquadrature "impallate" (la nuca dell'infermiera all'ospedale) o arditi movimenti di macchina (l'auto degli yakuza inquadrata in rotazione dall'alto). Come attore Kitano sarebbe del tutto improponibile secondo gli standard occidentali: non parla, fa continuamente smorfie, ha un tic sul volto, cammina in modo sgraziato; eppure riesce a dar vita a un personaggio carico di un'umanità immensa, violento con i violenti, dolcissimo con la moglie, generoso con gli amici, tormentato dai sensi di colpa. Il titolo originale significa "Fuochi d'artificio", ma il trattino separa le due parti, rispettivamente "fiore" e "fuoco", ovvero la vita (la natura, i dipinti di Horibe) e la morte (la distruzione, le armi da fuoco). In Italia la pellicola uscì con il titolo non tradotto anche per evitare confusione con l'omonimo film di Leonardo Pieraccioni, che allora era nelle sale.

15 commenti:

AlDirektor ha detto...

D'accordissimo. Il capolavoro di Kitano (su cui vedo, hai fatto un Tour de force). Pieno di emozioni, di momenti poetici, di finezze registiche fuori dal comune e dallo stereotipo (un concetto di cui ormai sono ossessionato). Inutile lodare nuovamente il Kitano attore che, citando ciò che scrivi, pur essendo improponibile riesce a creare un personaggio straordinario, prismatico. Tanto per cambiare le musiche di Hisaishi sono memorabili.Leggo giustamente "Meritatissimo" il Leone d'Oro alla mostra di Venezia.

Christian ha detto...

Tendo anch'io a considerare "Hana-bi" il suo capolavoro, è un vero coacervo di emozioni. Anche se leggendo nei commenti agli altri suoi film si scopre che ognuno ha il suo Kitano preferito: chi dice "Sonatine", chi "Dolls", chi "Kikujiro"... e fra tanti film meravigliosi, dopo un po' mettersi a fare classifiche comincia a sembrare un'operazione priva di senso...

Quanto al tour-de-force, il fatto è che avevo appena rivisto "Sonatine" e avevo già in programma questa nuova visione di "Hana-bi" con un gruppo di amici, e allora mi è parsa cosa giusta infilarci in mezzo anche le due pellicole che lo stesso Kitano aveva girato tra l'una e l'altra! ^^

Marisa ha detto...

Una materia incandescente trattata con rara ed eccezionale maestria!
Sono assolutamente d'accordo con la tua recensione,così accurata e,mi viene da dire "piena d'amore".
Anch'io sono stata commossa e stupita che in un film si potesse far filtrare tanta vita in tutti i suoi aspetti (violenza,tenerezza,amicizia,solidarietà,umorismo,bellezza,grottesco,sensibilità),il tutto senza manierismo, conformismo,vogarità o sentimetalismo.
Proprio un grande Kitano che qui si è esposto anche come pittore.

Christian ha detto...

È un film davvero unico e particolare, forse spiazzante ma talmente ricco e bello da acquistare maggior valore ogni volta che lo si rivede. E Kitano è un vero artista a tutto tondo.

Ernesto ha detto...

Ciao, Christian.
Non posso non essere d'accordo con te, visto che su questo film ci ho fatto la mia tesi di laurea! L'avevo visto proprio a Venezia durante le proiezioni della Mostra e mi aveva letteralmente folgorato.

Due soli appunti alla tua recensione. Uno minuscolo: Terajima si chiama SusumU.

L'altro un po' più grosso perché hai chiamato "inquadratura impallata" quella che secondo me è un ottimo, se pur semplice, esempio del modo in cui Kitano organizza e pensa lo spazio.

Infatti l'infermiera è uno strumento per il montaggio interno dell'inquadratura. Dato che il film è composto in buona parte da piani sequenza con inquadratura fissa, ciò che guida l'occhio a spostarsi su un elemento o l'altro è in questo caso il corpo dell'infermiera: nella scena precedente, in cui ci sono Nishi e la moglie alle due estremità dello schermo, l'infermiera entrando copre completamente la moglie, per poi rivelarla di nuovo quando esce.

La scena seguente è simile, con il dottore e Nishi seduti uno di fronte all'altro. L'infermiera entra camminando in linea retta per coprire completamente Nishi, poi si sposta al centro mostrandoli entrambi, poi esce sulla stessa linea coprendo di nuovo Nishi e rientra sedendosi in primo piano dalla parte del dottore, ma col fuoco sempre sugli altri due: così abbiamo mezzo schermo completamente dedicato a Nishi, e uno spazio più piccolo dedicato al dottore, di cui infatti si vede solo la testa parlante (tra l'altro il dottore ha ovviamente un camice bianco ed è colpito dalla luce della finestra, perciò quando la testa della donna lo copre ottiene anche di bilanciare la luminosità). Poi qualcuno la chiama e la donna si alza, scoprendo di nuovo il dottore. Rientra di nuovo in linea retta come prima, coprendo Nishi. Poi è lui ad alzarsi e sempre sulla stessa linea retta viene verso la telecamera coprendo l'infermiera e lasciando la metà destra dell'inquadratura tutta per il dottore, finché non arriva così vicino da chiuderci la visuale e lì c'è lo stacco sulla scena seguente.

In pratica Kitano taglia e cuce lo spazio visibile per dare significati e dinamismo a un'inquadratura che altrimenti sarebbe stata banale e anche noiosa.

Scusa la lunghezza!
Ciao!
ERNESTO

Christian ha detto...

SusumU
Ops...! Corretto.

Quanto all'inquadratura "impallata" (questa, per intenderci): accidenti, sì vede che questo film te lo sei studiato in ogni dettaglio!
(Sì, mi ricordavo che ci avevi fatto la tesi, e infatti mi aspettavo un tuo intervento... ^^)
Quella scena è un'ulteriore conferma di come Kitano non inquadri mai nulla per caso, di come – per citare la scheda di "Sonatine" nel Mereghetti – sia "uno dei pochi registi contemporanei che si chiede ancora dove collocare la macchina da presa e come montare le immagini".

Ernesto ha detto...

Ciao,
da questo indirizzo (non riesco a inserire URL cliccabili nei commenti, non so perché)
http://www.youtube.com/watch?v=e5t1syZAeBI
si possono vedere le due sequenze che ho citato (in giapponese, e solo quelle).

Le parole che citi dal Mereghetti sono di Alberto Pezzotta, che ha scritto le voci relative ai primi film di Kitano (poi non so) e che era stato uno dei primi in Italia ad accorgersi di lui.

Nell'attenzione all'inquadratura e nell'uso dei tempi Kitano ha anche debiti Ozu-eschi (!). In questo articolo
http://archive.sensesofcinema.com/contents/00/7/kitano.html
ci sono alcuni esempi.

Ciao!
ERNESTO

Christian ha detto...

non riesco a inserire URL cliccabili nei commenti
Strano... Hai provato a inserire il codice a mano ("<a HREF="http:/...")?

Comunque, per i pigri, questo è il link al video che hai postato. E questo è il link all'interessante articolo di confronto fra Ozu e Kitano.

Dal quale cito una frase che mi è piaciuta, e che spiega anche il perché dei lunghi silenzi fra Nishi e sua moglie:
In aural terms, people generally only speak when they have something to say in Ozu's films, remaining silent when they don't. ^^

(Fra l'altro ho letto che l'attrice che interpreta la moglie di Nishi era specializzata in parti da "chiacchierona". Kitano ha dichiarato: "Se costringi al silenzio una persona che crede che il suo talento riposi sulla parola, si sprigiona da lei una sorta di ingenuità. Il malessere che provava per il suo ruolo, non saprei dire perché, era molto buono dal punto di vista cinematografico".)

Ciao e a presto!

Martin ha detto...

Questo discorso sui silenzi mi ha fatto venire in mente che nei film di Tsai invece le persone stanno zitte anche quando avrebbero qualcosa da dire.
Si lo so, sono in una fase di Tsai-mania in questo periodo e quando scoppia un amore (cinematografico) si ha in mente solo quello ;-)

MonsierVerdoux ha detto...

bene bene vedo che kitano è sempre apprezzato! io sto rivedendo molti dei suoi film, e ne ho scaricati 3 che nn ho mai visto: violent cop, i nuovi gangster e il silenzio sul mare, che mi incuriosiscono molto...ho scelto bene?

Christian ha detto...

Martin: Ti capisco! :-)
In effetti i silenzi di Tsai Ming-Liang sono molto diversi da quelli dei personaggi di Kitano. Non so se hai già visto "Goodbye Dragon Inn", credo che sia in assoluto il film di Tsai parlato di meno.

MonsierVerdoux: Hai scelto i suoi primi tre film! E soprattutto "Violent cop" (il film d'esordio) e "Il silenzio sul mare" meritano parecchio.

Fabio ha detto...

Mi riprometto di rivederlo.

Christian ha detto...

Kitano è uno dei massimi registi viventi, non si può non vedere! ^^

MonsierVerdoux ha detto...

direi che è davvero un gran film. l'ho visto ieri e ne ho scritto, e ovviamente sono venuto subito a legegrne la tua recensione...un film davvero bellissimo, ma con kitano ormai è sempre così. anche io non mi spiego l'ostracismo che di nuovo si è ripresentato per le sue ultime pellicola (di achilla e la tartaruga non sapevo nemmeno l'uscita all'epoca!) e poi è vero: per gli standard occidentali come attore kitano sarebbe improponibile, eppure solo con quel tipo di interpretazione si può rendere l'alternarsi di cinismo e tenerezza che contraddistinguono i suoi personaggi!

Christian ha detto...

Sono contento che ti sia piaciuto (ma non avevo dubbi: a quale cinefilo potrebbe non piacere?).

Riguardo all'ostracismo, purtroppo con l'avvento dei multiplex i nostri pessimi distributori guardano ormai soltanto al cinema hollywoodiano. Non è solo Kitano a essere stato bandito dai cinema italiani, ma molti grandi autori che in passato qualche spazio lo trovavano (Tsai, Kiarostami...). Il cinema asiatico è praticamente scomparso, ma pensa anche alla difficoltà di far uscire film di registi europei come Audiard ("Il profeta" arriva con un anno di ritardo, e dopo diversi rinvii!) o Amenabar ("Agorà"). Ozon, Haneke e Michalkov hanno trovato spazio a malapena, mentre l'ultimo Kusturica ("Promettilo!") qui a Milano non si è visto affatto.