20 dicembre 2009

Palermo Shooting (Wim Wenders, 2008)

Palermo Shooting (id.)
di Wim Wenders – Germania/Italia 2008
con Campino, Giovanna Mezzogiorno
**1/2

Visto in DVD, con Martin.

Un fotografo tedesco (Campino, alias Andreas Frege, rock star del gruppo Die Toten Hosen), dopo essere scampato per un nonnulla a un incidente stradale e aver visto (letteralmente) la morte in faccia, si trattiene per qualche giorno a Palermo, città a lui sconosciuta, alla ricerca di sé stesso. Mentre gira per le strade scattando fotografie, scopre di essere preso di mira da una misteriosa figura incappucciata che gli scaglia contro delle frecce invisibili ed evanescenti, proprio come quelle che si vedono nel dipinto del "trionfo della morte" al quale Flavia, una giovane restauratrice, sta lavorando. Una pellicola strana e metafisica, ma con un suo particolare fascino surreale, caratterizzata da temi tipicamente wendersiani, e come tale apprezzabile forse di più se si conoscono bene le precedenti opere del regista (l'artista che si aggira per una città straniera ricorda "Lisbon story", anche se lì il protagonista "catturava" suoni e qui immagini; l'elemento soprannaturale era già presente ne "Il cielo sopra Berlino"; i sogni e le riflessioni e sulle sembianze delle cose si collegano a quelle viste – fra gli altri – in "Fino alla fine del mondo"), che suggerisce arditi collegamenti fra il fotografo e la morte (entrambi fanno lo stesso lavoro, in fondo, "immortalando" persone e oggetti ai quali tolgono la vita; persino il titolo del film può riferirsi tanto al lavoro del fotografo – lo "shooting" fotografico – quanto alle frecce scagliate dalla morte) e abbozza considerazioni su come uno scatto riproduca soltanto la superficie delle cose o sulla bizzarra condizione di un fotografo che viene ripreso a sua volta. Anche il personaggio di Flavia (interpretato da una brava Mezzogiorno) è in linea con tutto il resto: il suo lavoro di restauratrice di antichi dipinti, in fondo, è un trait d'union fra i due argomenti principali della pellicola, l'immagine e la decadenza. Ironico come, nelle sequenze iniziali del film, Campino – anziché la morte – si ritrovi a fissare sulla pellicola l'inizio della vita, nella fattispecie nella sessione fotografica con Milla Jovovich (che interpreta sé stessa con il pancione). La presenza di Milla, non accreditata, è stata per me un bonus inatteso ma gradito! Nel cast c'è anche Dennis Hopper, nei panni della morte impersonificata. Curatissime, come sempre, fotografia e colonna sonora. La scelta di Palermo come luogo dove incontrare la morte, città (de)cadente ed – etimologicamente – "grande porto", sembra particolarmente azzeccata. E la dedica finale a due grandi registi che erano appena scomparsi, per di più nello stesso giorno (Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni), non è decisamente casuale, visto che il film che riprende numerosi elementi da due delle loro opere più celebri, rispettivamente "Il settimo sigillo" (l'incontro con la morte) e "Blow up" (il fotografo e la realtà delle cose).

11 commenti:

marco c. ha detto...

sé stesso è senza l'accento (questo messaggio si autodistruggerà dopo la lettura del blogger)

Christian ha detto...

Togliere l'accento a "sé" quando è seguito da "stesso" è facoltativo, non obbligatorio. Il fatto che sia ritenuta lecita anche la forma alternativa senza accento (che a me personalmente fa ribrezzo) non significa che non sia corretta quella normale, ovvero con l'accento.

Comunque:
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=7305&ctg_id=93

marco c. ha detto...

a me a scuola lo segnavano sempre rosso. boh!

Martin ha detto...

Fa ribrezzo anche a me!
Infatti, caso vuole, ho usato "sé stessi" proprio nel mio post sulla stesso film ;-)

Giuliano ha detto...

Salve Christian, ricambio la visita. Praticamente, ho trovato un altro matto che guarda tutto... Ce ne metterò di tempo per leggere tutto!
Ma non so se guarderò mai questo Wenders. Sono rimasto troppo deluso le ultime volte: resto in attesa di essere smentito, ho amato molto Wenders ma lo trovo felicemente scoppiato - e sottolineo il felicemente!
(idem per Herzog...)

Christian ha detto...

Ciao Giuliano, e benvenuto! ^^
Se hai un paio d'ore di tempo, io ti consiglio di vederlo, soprattutto se ti erano piaciuti "Lisbon story" e "Fino alla fine del mondo". Wenders è cambiato parecchio con il tempo, attraversando diverse fasi, ma molti dei temi che affronta continuano a rimanere gli stessi (il viaggio, la ricerca di sé, l'arte e le immagini – tradizionali o elettroniche – come "filtro" per vedere il mondo, ecc.). A me sono piaciuti anche i suoi film più recenti, naturalmente senza definirli capolavori: sono forse da apprezzare più come tasselli di un discorso generale che come pellicole a sé stanti... E in un certo senso il discorso vale anche per Herzog (che pure occasionalmente produce ancora delle gemme, soprattutto con i documentari).

Giuliano ha detto...

Sì, non dico che siano brutti film, penso a "Il diamante bianco" di Herzog: è che sono diventati persone normali, non più SuperEroi.
Penso che sia normale, ma insomma. Giuseppe Verdi a 80 anni scriveva musica nuovissima,capolavori (il Falstaff), speriamo che capiti anche a Herzog e Wenders!
(sono qui che aspetto)

Christian ha detto...

Speriamo! Ma come dici anche tu, un calo dopo aver raggiunto il picco è normale. I Verdi (o, nel cinema, i Buñuel e i Kurosawa) sono rare eccezioni.

Herzog "Fitzcarraldo" ce lo ha già dato, ora mi accontento dei "Grizzly Man" ("Il diamante bianco" non l'ho ancora visto...). ^^

Martin ha detto...

Non sono per niente d'accordo con chi stronca l'ultimo Wenders o con chi cerca di minimizzarlo.
Ma chi è che fa film di questo livello al giorno d'oggi?
Quanti Autori di questo spessore ci sono in giro?
Non sono nemmeno d'accordo con chi valorizza i suoi ultimi lavori considerandoli semplicemente come tessere che completano un quadro più grande: lo sono ma sono anche molto di più.
Penso a film struggenti e bellissimi come Million Dollar Hotel e Non Bussare alla Mia Porta ma anche film più che discreti come La Terra dell'Abbondanza e questo Palermo Shooting.
Wenders ci parla dell'America come nemmeno cento film americani messi insieme riescono a fare.
E parla della complessità degli uomini e delle loro debolezze, ora come vent'anni fa.
E lo fa certamente in modo diverso ed è proprio questo a farne, ancora oggi, uno dei più grandi.

Christian ha detto...

Sai già, Martin, che su Wenders la penso come te: tutti i titoli che hai citato mi sono piaciuti (anche se io personalmente preferisco "La terra dell'abbondanza" a "Non bussare alla mia porta"), e anche questo "Palermo shooting", di cui avevo sentito soltanto parlar male, mi ha invece piacevolmente sorpreso. Quando parlavo di tasselli di un discorso più generale non intendevo certo negare le loro qualità individuali, ma ribadire l'impressione che sia più facile apprezzarli se si conoscono bene anche gli altri lavori del regista e non solo i capolavori degli anni settanta e ottanta. Altrimenti si corre sì il rischio di sminuirli, vuoi perché li si confronta con opere realizzate in un altro periodo e necessariamente differenti, vuoi perché non si riesce a coglierne appieno i messaggi e i temi e ricorrenti.

Martin ha detto...

Certo che so che la pensiamo allo stesso modo ;-)
Ma era bene chiarire certi punti che potevano essere interpretati in modo inesatto.
Ormai ci siamo accorti da tempo che un film, inserito all'interno del percorso cinematografico del regista, in genere si fa apprezzare molto di più, che sia Wenders, Bekmambetov o Enzo G.