21 novembre 2009

Gli abbracci spezzati (P. Almodóvar, 2009)

Gli abbracci spezzati (Los abrazos rotos)
di Pedro Almodóvar – Spagna 2009
con Lluís Homar, Penélope Cruz
**1/2

Visto al cinema Colosseo, con Marisa.

Mateo Blanco, un tempo regista cinematografico e ora – divenuto cieco – sceneggiatore con lo pseudonimo di Harry Caine, ricorda l'episodio che ha cambiato la sua vita: l'amore per la giovane attrice Lena, già amante di un anziano e potente uomo d'affari (nonché produttore del film che i due stanno girando) che naturalmente giura vendetta. Narrato attraverso flashback e piani temporali che si intersecano, "Gli abbracci spezzati" è probabilmente il film più "cinefilo" di Almodóvar, e forse proprio in questa caratteristica risiede il senso ultimo di una pellicola che per il resto sembra un po' indecisa su cosa voler raccontare (l'arroganza e la seduzione del potere? una "semplice" storia d'amore? una vicenda di dolorosi segreti e annosi rimpianti? l'arte che trionfa sulla vita e sulla morte?) e sui toni con cui farlo (il melodramma? la commedia, anche scollacciata? il noir? un diario di lavorazione?). Il film è infatti un continuo omaggio al cinema d'autore, visto che cita e menziona Rossellini (la scena di "Viaggio in Italia" con Ingrid Bergman che il protagonista guarda in tv), Malle (Mateo vuole ascoltare la voce di Jeanne Moreau in "Ascensore per il patibolo"), Buñuel (Severine, il nome che Lena usava quando lavorava per una casa di appuntamenti, è un riferimento a "Bella di giorno"), Lang, Ray, Fellini (le cui opere figurano nella videoteca del regista), e così via, senza contare che Lena viene esplicitamente truccata come Audrey Hepburn. Ma è soprattutto un auto-omaggio allo stesso Almodóvar, che gioca a evocare molte delle sue pellicole precedenti (la scena di "Ragazze e valigie", il film diretto da Mateo, è un chiaro spoof di "Donne sull'orlo di una crisi di nervi", con tanto di gazpacho corretto col sonnifero; il tema della disabilità proviene da "Parla con lei" e "Carne tremula", quello del figlio segreto da "Tutto su mia madre", il voyeurismo e l'ossessione per le immagini riprese dalle videocamere da "Kika"). Anche la storia d'amore fra Mateo e Lena, così irreale e perfetta, sembra essere stata scritta apposta per il cinema, con tanto di melodramma, fuga e conclusione tragica. E all'amore per la ragazza da parte del protagonista si sostituisce infine quello per la settima arte: morta Lena, al regista non resta che amare il lungometraggio che ha girato insieme a lei, e ritrova pace e soddisfazione solo quando finalmente riesce a montarlo come aveva sempre desiderato: "i film devono essere finiti, anche se alla cieca". Come le foto strappate possono essere reincollate, così i filmati dei vari ciak possono essere rimontati fino a restituire il quadro d'insieme.
Di una certa importanza è inoltre il tema dei rapporti fra padri e figli (quello, inconsapevole, fra Mateo e Diego, il figlio che non sapeva di avere ma che già aveva adottato scegliendolo come suo assistente; e quello, pieno di ostilità, fra il produttore Ernesto e il figlio gay e represso che porta lo stesso nome e che documenta su pellicola tutta la lavorazione del film a uso e consumo del padre). E comunque sono tante le trovate geniali e le scene memorabili: le sessioni con la lettrice delle labbra (che il produttore assolda perché le immagini "rubate" dal figlio sul set sono senza sonoro), la Cruz che doppia sé stessa per dare l'addio al vecchio amante, il sesso sotto le lenzuola, i paesaggi "alieni" di Lanzarote.

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