District 9 (Neill Blomkamp, 2009)
District 9 (id.)
di Neill Blomkamp – Sudafrica/USA/NZ 2009
con Sharlto Copley, David James
**1/2
Visto al cinema Plinius.
Una gigantesca nave extraterrestre si ferma "in panne" nel cielo sopra Johannesburg. Lo scafo è colmo di alieni-crostacei, denutriti e in condizioni pietose, che vengono evacuati in un campo di permanenza temporaneo. Ma questo in breve tempo si trasforma in una squallida baraccopoli ai margini della città, con tutto il corollario di criminalità e illegalità che ne segue: vent'anni dopo è sorto un nuovo apartheid e l'ostilità fra umani e alieni è alle stelle, con i primi che non tollerano più la presenza dei secondi. Una potente organizzazione militare privata organizza quindi lo sgombero dello slum, ma durante le operazioni uno degli addetti viene contaminato dai fluidi extraterrestri e il suo dna comincia a mutare: di colpo il suo organismo diventa preziosissimo, anche perché è l'unico essere umano in grado di usare le tecnologie (e soprattutto le armi) degli alieni, che funzionano soltanto se a impugnarle sono loro. Prodotta da Peter Jackson, l'opera prima di Blomkamp colpisce subito per l'originalità della messinscena e la lettura in chiave fantascientifica di questioni sociali e politiche come lo sbarco dei clandestini e il modo in cui vengono accolti nei paesi più avanzati. Peccato solo che dopo una prima mezz'ora accattivante, caratterizzata da toni satirici e grotteschi (finanche esagerati), le idee si esauriscano e la pellicola si trasformi in un action movie hollywoodiano come tanti, che punta tutto su confuse scene d'azione (gli effetti speciali, soprattutto per quanto riguarda i mecha, si fanno invadenti e ricordano "Transformers") e su sviluppi e caratterizzazioni straviste e improbabili (il protagonista, da sempliciotto e razzista, stringe amicizia con uno dei "gamberoni" e diventa eroico e disinteressato). Inoltre, oltre ad abbandonare completamente il parallelo con i profughi (non si fa accenno al motivo del viaggio degli extraterrestri, e tutto lascia intendere che la loro nave si sia fermata sulla Terra soltanto per una banale mancanza di carburante) viene meno anche l'impostazione da mockumentary con le finte interviste e i reportage televisivi che avevano dominato la prima parte, che lascia spazio a una narrazione più convenzionale, al cui servizio c'è per di più una regia fastidiosa e moderna (camera a mano, montaggio frenetico). In fin dei conti, dunque, nonostante gli indubbi pregi della pellicola, si resta soprattutto amareggiati per l'occasione sprecata e per la mancanza di coerenza e di coraggio nel portare fino in fondo le scelte stilistiche iniziali.