29 aprile 2009

Il bandito della casbah (J. Duvivier, 1937)

Il bandito della casbah (Pépé le Moko)
di Julien Duvivier – Francia 1937
con Jean Gabin, Line Noro
***

Visto in divx, con Marisa.

"Vista a volo d'uccello, quella zona che si chiama la casbah domina quasi la vita. Brulicante come un formicaio, è una vasta scalea da cui ogni terrazza è un gradino che scende verso il mare. Tra questi gradini vi sono viuzze tortuose e scure, che sembrano fatte per l'agguato; viuzze che si incrociano, che si accavallano, che s'annodano e si snodano caoticamente, si confondono tra loro come un inestricabile labirinto. In ogni punto, dovunque si vada, scale, salite ripide e sinuose, discese facili alle fughe, portici oscuri saturi di vermi e di umidità, botteghe sospette dove si giuoca ad ogni ora, angoli pieni di silenzio, vie dal nome bizzarro. Vivono in quarantamila, là dove potrebbero stare appena diecimila, quarantamila d'ogni razza, venuti da tutte le frontiere: uomini di origine barbaresca e i loro onesti discendenti, tradizionalisti e per noi misteriosi; arabi, cinesi, zingari, balcanici, nordici, corsi, negri, spagnoli, tunisini... e ragazze, ragazze di tutti i paesi, di tutti i tipi: alte, basse, grasse, senza età, senza forme, abissi di grasso in cui nessuno osa guardare. Le case, bucate da cortili interni, isolate come celle senza tetto e piene di eco, comunicano quasi tutte una con l'altra attraverso le terrazze. Queste terrazze sono dominio esclusivo degli algerini, che ne sono i padroni. Essi scendono lungo quest'ampia scalea, e di gradino in gradino arrivano fino al mare. Infinita, brulicante, misteriosa, tumultuosa, di casbah non ve n'è una, ve n'è cento, ve n'è mille. E in questo dedalo, in questo brulichio, Pépé è il re. E per arrestarlo non basta alzarsi di buon ora."

Con questa introduzione "documentaristica" ci viene presentata la vera protagonista della pellicola, la casbah di Algeri dove si nasconde Pépé, gangster autoritario e dandy romantico, protetto dai suoi seguaci e dalle sue donne, invano ricercato dalla polizia, dominatore assoluto del suo piccolo mondo, di cui però è anche prigioniero. E proprio il desiderio di libertà e la nostalgia per la sua patria d'origine (la Francia) lo tradiranno, quando si innamorerà di una raffinata mantenuta parigina che lo farà precipitare nelle mani dell'amico-rivale ispettore Slimane. Il finale tragico non fece che contribuire all'aura di classica romanticità della pellicola. Precursore e punto di riferimento di almeno tre generi cinematografici che avrebbero spopolato negli anni a venire (il noir, con le sue figure destinate a soccombere di fronte al destino; il dramma romantico di ambientazione esotica alla "Casablanca" – ma scenari di questo tipo si ritrovano anche in film d'avventura alla Indiana Jones; e il realismo poetico, di cui Gabin sarebbe presto diventato il volto per eccellenza), il film ebbe uno strepitoso successo, al punto che Duvivier fu immediatamente chiamato a Hollywood, dove la pellicola venne peraltro rifatta l'anno successivo da John Cromwell ("Algiers", con Charles Boyer e Hedy Lamarr) e nel 1948 da John Berry ("Casbah", con Tony Martin e Peter Lorre). E il personaggio sarebbe entrato nell'immaginario collettivo di mezzo mondo, come dimostra la parodia napoletana del 1949, "Totò le Moko". Un caldo bianco e nero, gli innumerevoli primi piani (splendida la sequenza il cui lo sguardo del protagonista si sofferma sugli occhi, sul sorriso e... sui gioielli della dama francese), i variopinti comprimari – dal giovane protetto Piero (Pierrot, nella versione originale) al rude complice Carlos, dall'infido informatore Regis (la scena della sua esecuzione, per mano dell'uomo che ha tradito e che muore nello stesso momento, è notevole) alla gelosa zingara Ines, dallo scaltro ispettore Slimane all'aristocratico ricettatore chiamato il Conte (le Grand Père, in originale) – e per l'appunto l'ambientazione, la scenografia e lo stile contano molto più della semplice trama, che non si fonda sulla suspense (tutto "è già scritto", come dice Slimane a Pépé) bensì sull'atmosfera, sulla malinconia per i sogni perduti, sul desiderio di cambiar vita. Suggestiva, a questo proposito, la scena in cui la vecchia cantante Fréhel intona la canzone nostalgica "Où est-il donc?". E anche il realismo si mescola con la finzione della messinscena (celebre la sequenza della discesa finale di Pépé attraverso la casbah, chiaramente proiettata su un fondale): non a caso le stradine e le scale di Algeri furono ricostruite in studio.

2 commenti:

Luciano ha detto...

Ricordo con nostalgia questo bellissimo film, sia per averlo visto molto tempo fa (mi rammenta un'altra epoca), sia per le bellissime atmosfere (come giustamente hai sottolineato).

Christian ha detto...

A suo modo è una pietra miliare!