14 ottobre 2008

Una donna di Tokyo (Yasujiro Ozu, 1933)

Una donna di Tokyo (Tokyo no onna)
di Yasujiro Ozu – Giappone 1933
con Yoshiko Okada, Kinuyo Tanaka
***

Visto in DVD (registrato da "Fuori Orario").

Con questo mediometraggio, girato da Ozu in soli otto giorni, per la prima volta nel cinema del grande maestro giapponese irrompono la morte e certi toni più forti e "mizoguchiani". La sorella maggiore Chikako, la protagonista, paga gli studi universitari al fratello Ryo lavorando come dattilografa durante il giorno e prostituendosi segretamente in un locale notturno la sera. Quando Ryo viene a saperlo, dapprima si scaglia contro di lei e poi sceglierà il suicidio, lasciando Chikako – e la fidanzata Harue – a piangerlo: "Non mi hai capita fino alla fine. Morire per una cosa del genere... che vigliacco!". Al tema del sacrificio femminile per la famiglia (classico sia per la cultura giapponese sia per il cinema di Ozu, come si vedrà in molte opere successive) si aggiunge qui quello dell'incapacità maschile di sopportare l'umiliazione, che invece mi sembra un po' distante dall'autore nipponico, di solito paladino della "rassegnazione". E infatti il soggetto risulta adattato (da Kogo Noda) da "Sedici ore", un dramma di un autore austriaco, tale Ernst Schwarz (di cui però non ho trovato notizie in rete: c'è addirittura chi ipotizza che si tratti di uno pseudonimo dello stesso Ozu: qualcuno sa qualcosa al riguardo?). Degna di nota la scena in cui Ryo e Harue vanno al cinema a guardare "Se avessi un milione": se in passato il regista aveva mostrato manifesti di pellicole americane appesi nelle stanze dei suoi personaggi, stavolta inserisce addirittura intere sequenze (e persino parte dei titoli di testa) dell'episodio di Lubitsch con Charles Laughton, che con la sua ambientazione da salaryman si sposa alla perfezione con il resto della pellicola. Stilisticamente si fanno notare numerose inquadrature che vedono i personaggi sfocati sullo sfondo e comuni oggetti in primo piano: oltre che con gli inserti, Ozu comincia a giocare con la profondità di campo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono rimasto anch'io perplesso: uno Schwarz 1882-1928 non sembra essere esistito, molto probabilmente Ozu ha voluto giocare, non so per qual motivo...
Non ho visto tutto di Ozu, ma hai visto il finale... la camera SI MUOVE! Sono svenuto. Forse l'unica sequenza in movimento della carriera? Io non ne ricordo altre al momento.

Christian ha detto...

In realtà, in questi primi film, di movimenti di macchina ogni tanto se ne vedono, anche se Ozu non ne abusa mai e spesso li utilizza solo per creare delle gag (come quella degli sbadigli in "Sono nato, ma...") o per descrivere un ambiente (come all'inizio di "La donna della retata"). In un'intervista, se ricordo bene, il regista aveva dichiarato che anche quando li usava cercava sempre di fare in modo che il pubblico non li percepisse, che passassero inosservati. Ciao!

Anonimo ha detto...

Ah, non ricordavo proprio!