31 luglio 2007

L'avventura (M. Antonioni, 1960)

Ieri sera, lo stesso giorno in cui è scomparso Ingmar Bergman, è morto anche Michelangelo Antonioni, uno dei miei registi italiani preferiti. Doveroso, anche in questo caso, riguardarsi alcuni dei suoi film.


L'avventura
di Michelangelo Antonioni – Italia 1960
con Monica Vitti, Gabriele Ferzetti
***1/2

Rivisto in DVD.

Primo capitolo della cosiddetta "trilogia dell'alienazione" (gli altri due sono "La notte" e "L'eclisse", sempre con Monica Vitti), nella quale il regista affronta per la prima volta i temi dell'incomunicabilità e del disagio esistenziale che lo hanno reso celebre. Il film vinse il premio speciale della giuria a Cannes (dopo essere stato fischiato alla proiezione pubblica) e diede il via alla notorietà internazionale del regista, oltre a cambiare in gran parte il mondo del cinema (da qualche parte ho letto questa citazione: «Antonioni is the difference between "Bridge on the River Kwai" and "Lawrence of Arabia", between 'Spartacus' and "2001", between "Breathless" and "Contempt"»). Anna, figlia di un diplomatico, scompare misteriosamente nel nulla durante una crociera in barca con un gruppo di amici della ricca e annoiata borghesia romana. Dopo aver setacciato inutilmente lo scoglio roccioso di Lisca Bianca, dove la ragazza era stata vista l'ultima volta, la sua amica Claudia e il suo fidanzato Sandro decidono di proseguire le ricerche da soli. Poco a poco, però, le rispettive solitudini avvicinano i due e li spingono a innamorarsi. Lo scopo della loro ricerca passa in secondo piano, e Claudia si rende conto di temere il ritorno dell'amica: "tutto sta diventando maledettamente facile, persino privarsi di un dolore", commenta. La prima parte del film è dominata dalle forze della natura: il mare, il vento, la roccia sembrano opprimere gli uomini, che si smarriscono al loro interno per fuggire dal vuoto che li circonda. La seconda, ambientata in una Sicilia arcaica, fra paesi disabitati o a stento sfiorati dalla modernità, dalla vita mondana o dal turismo, mette invece a fuoco la fragilità dei rapporti umani e la distanza fra i personaggi, impegnati in una ricerca inutile e senza fine.

Blow up (M. Antonioni, 1966)

Blow up
di Michelangelo Antonioni – Italia/GB 1966
con David Hemmings, Vanessa Redgrave
****

Rivisto in DVD.

Nella swinging London degli anni sessanta, giovane, modaiola e apatica, un gruppo di clown e mimi scorrazza gioiosamente per le strade, mentre un fotografo di moda, fra una modella e l'altra, riprende scatti in giro per la città. Segue una coppietta in un parco e la fotografa di nascosto, ma al momento dello sviluppo scopre di aver inconsapevolmente assistito a un tentativo di omicidio. Le foto parlano chiaro... o forse no? Ispirato da un racconto breve di Julio Cortázar, "Blow up" è un grande film – forse il mio preferito fra tutte le pellicole di Antonioni – sul potere dell'immagine e della comunicazione, e su quello dell'arte e dell'immaginazione come sostituti della realtà. Il significato e il valore di ciò che vediamo risiede nello spettatore, e non nell'oggetto stesso: un'interpretazione quasi da fisica quantistica (evidente nella bella sequenza del concerto degli Yardbirds, che non ricordavo affatto dalle precedenti visioni del film, dove il frammento di chitarra (di Jeff Beck!) di cui si impossessa il protagonista cessa di avere il minimo interesse una volta tolto dal proprio contesto). Formalmente elegantissimo (anche per quanto riguarda musiche, costumi, colori e scenografie), con un David Hemmings che in quegli anni frequentava spesso il cinema italiano (in seguito avrebbe interpretato anche, fra gli altri, "Profondo rosso" di Dario Argento) e una sfuggente Vanessa Redgrave dal volto giovane e severo come Greta Garbo, si conclude con la celebre partita a tennis senza pallina, "mimata" dai clown, ai quali il protagonista si unisce come raccattapalle una volta compresa la relatività dell'esperienza visiva. Una delle modelle fotografate dal protagonista è una giovane Jane Birkin. Primo di tre film di Antonioni girati all'estero e in lingua inglese (i successivi saranno "Zabriskie Point" e "Professione: reporter"), riscosse un inaspettato successo di pubblico e di critica, e vinse la Palma d'Oro a Cannes. Brian De Palma ne ha fatto un remake con John Travolta, "Blow out", dove alla suggestione delle immagini ha sostituito quella del sonoro.

30 luglio 2007

Il posto delle fragole (I. Bergman, 1957)

Oggi è stata annunciata la notizia della morte di Ingmar Bergman, uno dei più grandi registi del ventesimo secolo. Per ricordarlo mi sono rivisto due dei suoi grandi film, cominciando con quello che ritengo il suo capolavoro.


Il posto delle fragole (Smultronstället)
di Ingmar Bergman – Svezia 1957
con Victor Sjöström, Ingrid Thulin
****

Rivisto in DVD.

All'età di 78 anni, il medico Isak Borg parte in automobile dal suo paese per recarsi a Lund, dove dovrà ricevere un'onoreficenza per i cinquant'anni della sua attività professionale. Il viaggio, in compagnia della nuora, diventa un'occasione per riflettere sulla propria solitudine e fare il bilancio di un'esistenza dedicata soltanto al lavoro, nonché per recuperare alcuni ricordi della propria infanzia (il "posto delle fragole" è uno dei luoghi-simbolo della sua giovinezza, nei pressi della casa dove trascorreva l'estate con la sua numerosa famiglia). La paura della morte e i rimpianti del passato, la vecchiaia che avanza e la giovinezza che le corre a fianco, l'amore per il prossimo e l'aridità del cuore: tutti temi che il protagonista è costretto ad affrontare in una sola e intensa giornata, grazie anche a una serie di importanti incontri (una vivace e sbarazzina autostoppista in viaggio verso l'Italia; i suoi due corteggiatori – un aspirante teologo e uno studente di medicina – in perenne discussione fra loro; un marito e una moglie di mezza età, litigiosi e fastidiosi, che non perdono occasione per umiliarsi a vicenda; la madre dello stesso medico, irrimediabilmente ancorata a un passato nostalgico e malinconico, fatto di vecchi oggetti e di giocattoli per bambini ormai scomparsi) e soprattutto a una serie di sogni surreali e significativi, che ricordano De Chirico, Dalì e il primo Buñuel: strade deserte e palazzi in rovina, orologi senza lancette e carri funebri, esami universitari da rifare e amare memorie del passato. "Il primo dovere di un medico è quello di chiedere perdono": nonostante sia rispettato e benvoluto da tutti (per esempio dagli abitanti della regione dove ha lavorato per anni come medico condotto), chi conosce veramente bene l'anziano dottore lo giudica egoista, indifferente o incomprensivo. Lui stesso è costretto infine ad ammettere di aver rimosso, inconsciamente, ogni sensibilità dalla propria vita e di essersi condannato a una vita di solitudine, la stessa che potrebbe attendere il figlio se proseguirà sulla sua stessa via. Ma forse non è troppo tardi, per nessuno dei due, per cambiare strada (e solo oggi, alla terza o quarta visione del film, mi sono reso conto del possibile parallelo con il "Canto di Natale" di Dickens). Alla fine, come dice il Mereghetti, "il ritmo sincopato si distende e i sussulti d'angoscia si sciolgono in un sorriso sereno: e la vita mancata del protagonista si illumina attraverso quelle ancora possibili dei suoi giovani compagni di strada". Il film è splendidamente interpretato dall'anziano regista Victor Sjöström, mentre nel cast compaiono numerosi habitué del cinema di Bergman, dall'elegante e bellissima Ingrid Thulin a Bibi Andersson, fino a Max von Sydow.

La fontana della vergine (I. Bergman, 1960)

La fontana della vergine (Jungfrukällan)
di Ingmar Bergman – Svezia 1960
con Max von Sydow, Birgitta Valberg
***1/2

Rivisto in DVD.

Ispirata da una leggenda del 1300, è una fiaba gotica e severa, ambientata in un medioevo barbarico e suggestivo dove la religiosità cristiana convive con antichi riti pagani e superstizioni popolari. Una ragazza, bella e ingenua, si avventura nel bosco per portare le candele rituali fino alla chiesa oltre la valle, un compito che per tradizione è riservato solo alle fanciulle vergini. Ma viene violentata e uccisa da tre pastori, che in seguito cercano un riparo per la notte proprio nella casa dei suoi genitori. Quando questi scoprono l'accaduto, si vendicheranno. Alla fine, però, nel luogo dove la ragazza era stata uccisa sgorga miracolosamente una sorgente d'acqua purificatrice. Le vivide immagini della vicenda sono esaltate da una bellissima fotografia in bianco e nero che rende giustizia tanto ai paesaggi e alle scenografie (il bosco, la fattoria, il focolare) quanto ai volti degli attori, avvolti da un'aura quasi pittorica. La caratterizzazione psicologica dei personaggi (indimenticabile la serva, selvaggia e gelosa, che accompagna la ragazza nel suo viaggio) lascia spazio a improvvisi scoppi di violenza e brutalità. Il film vinse l'Oscar per il miglior film straniero.

L'orgoglio degli Amberson (O. Welles, 1942)

L'orgoglio degli Amberson (The magnificent Ambersons)
di Orson Welles – USA 1942
con Joseph Cotten, Tim Holt
**1/2

Rivisto in DVD.

Per il suo secondo lungometraggio dopo il fenomenale "Quarto potere", Welles scelse di adattare un romanzo di Booth Tarkington, una saga generazionale che narra della caduta di una grande e ricca famiglia del sud degli Stati Uniti. Alla fine del diciannovesimo secolo, Isabel Amberson rifiuta per orgoglio la corte del giovane ed eccentrico Eugene Morgan, preferendo sposare un altro pretendente. Vent'anni dopo, sarà suo figlio George a innamorarsi della figlia di Morgan, Lucy, e a venirne respinto in una sorta di contrappasso. Ma ormai la ruota è girata e la fortuna degli Amberson è svanita nel nulla. Welles non si riservò alcun ruolo da attore e si limitò a stare dietro la macchina da presa: forse anche per questo il film non ebbe il successo sperato e la produzione, non appena ne ebbe l'occasione, incaricò il montatore (Robert Wise!) di accorciarlo di oltre 40 minuti, imponendo fra l'altro un lieto fine che stona con tutto il resto e annacqua decisamente la vicenda. Ne soffrono, oltre alla tensione drammatica che decolla solo a tratti, anche alcuni personaggi minori (come il maggiore Amberson, il padre di Isabel) che non vengono indagati a sufficienza. Tecnicamente, però, il film mostra tutta la maestria del suo autore, con movimenti di macchina e piani sequenza (come quello iniziale al ballo) che non avevano pari in quegli anni. Celebri, inoltre, i titoli di coda: non scritti, ma letti dalla voce di Welles in persona, che terminano con le parole "io ho scritto il film e l'ho diretto. Mi chiamo Orson Welles".

29 luglio 2007

Il vento fa il suo giro (G. Diritti, 2005)

Il vento fa il suo giro (E l'aura fait son vir)
di Giorgio Diritti – Italia 2005
con Thierry Toscan, Alessandra Agosti
**

Visto al cinema Mexico, con Saveria.

Un pastore francese si trasferisce, con la giovane famiglia e un centinaio di capre, dai Pirenei a una piccola valle piemontese dove si parla ancora l'occitano. Accolto inizialmente con sospetto e qualche scetticismo ma con la speranza che il suo arrivo possa far rinascere un paese dove ormai risiedono solo anziani, dove nessuno lavora più e che si anima soltanto per il turismo durante l'estate, il "forestiero" vede lentamente incrinarsi i suoi rapporti con gli abitanti in una serie di dissidi, invidie e intolleranze ("Non mi piace la parola tolleranza", dice a un certo punto. "Se devi tollerare qualcuno, non c'è uguaglianza"). Mi avevano parlato molto bene di questo piccolo film italiano autoprodotto e parlato in tre lingue con sottotitoli (italiano, francese e lingua d'oc), ma la visione mi ha lasciato deluso. Ben fatto e interessante, certo, anche dal punto di vista antropologico, ed è apprezzabile l'assenza di buonismo e di un tono consolatorio, ma forse mi aspettavo qualcosa di diverso, più alla Kiarostami (forse per l'assonanza del titolo con "Il vento ci porterà via"). L'ho trovato invece troppo pesante e asfissiante, permeato da un'umanità gretta e meschina sotto un cielo sempre più plumbeo.

Buena Vista Social Club (W. Wenders, 1998)

Buena Vista Social Club (id.)
di Wim Wenders – Germania 1998
con Ibrahim Ferrer, Compay Segundo
**1/2

Rivisto in DVD con Martin, in originale con sottotitoli.

Nel 1996 Ry Cooder, recatosi a Cuba alla ricerca di nuove sonorità, "riscoprì" una serie di vecchi musicisti ormai dimenticati e li rese di nuovo celebri anche e soprattutto all'estero con un disco che vinse il Grammy Award. Il documentario di Wenders alterna scene dei loro concerti ad Amsterdam e alla Carnegie Hall di New York con interviste girate nell'isola caraibica, realizzando un ritratto di un gruppo di artisti ancora vitali e pieni di entusiasmo nonostante l'età avanzata (Compay Segundo, all'epoca del film, aveva ben 90 anni!). A differenza di altri suoi documentari, Wenders si mette da parte e realizza qualcosa di meno personale: la sua voce narrante non compare mai, lasciando spazio ai veri protagonisti del film, i musicisti e l'isola cubana.

Lègami! (P. Almodóvar, 1990)

Lègami! (¡Átame!)
di Pedro Almodóvar – Spagna 1990
con Victoria Abril, Antonio Banderas
**1/2

Visto in DVD, con Martin.

Uno psicopatico appena uscito dal manicomio (il solito Banderas, che spesso aveva parti simili nei primi film di Almodóvar: ma questa è forse la sua interpretazione più significativa) sequestra un'attrice porno, che ha appena finito di recitare in un film horror, e la tiene legata in casa nella speranza che, prima o poi, si innamori di lui. Il che puntualmente accade. Una storia d'amore leggermente sadomasochistica, narrata con il tono lieve e leggero della commedia. Forse non memorabile come altri film del regista, ma comunque piacevole e ben recitato. La fotografia, soprattutto nella prima parte, insiste decisamente sul rosso vivace: sono numerosissimi gli oggetti in scena di questo colore. La musica è di Ennio Morricone. Per la prima volta dopo anni, Almodóvar non ricorre a Carmen Maura (considerata troppo vecchia per recitare la parte della protagonista) nel cast, e in compenso inizia una collaborazione con Victoria Abril, già apparsa in un cameo ne "La legge del desiderio". Francisco Rabal interpreta il regista. Quando venne distribuito negli Stati Uniti, il film scatenò un dibattito che portò alla revisione del sistema di rating cinematografico.

28 luglio 2007

Signs (M. Night Shyamalan, 2002)

Signs (id.)
di M. Night Shyamalan – USA 2002
con Mel Gibson, Joaquin Phoenix
*

Visto in DVD.

Gibson, negli improbabili panni di un pastore protestante che ha perso la fede dopo la morte della moglie in un incidente stradale, trova nel suo campo di grano alcuni misteriosi cerchi come quelli che compaiono sempre più frequentemente in tutto il mondo. Naturalmente sono stati gli alieni, che stanno per invadere la Terra e minacciare la sua famiglia. Da "Il sesto senso" in poi, questo è stato l'unico film di Shyamalan che non sono andato a vedere al cinema, visto che l'argomento non mi interessava (questo tipo di leggende contemporanee mi ha sempre fatto dubitare della sanità mentale di chi ci crede, e cavarci fuori qualcosa di sensato mi pareva difficile) e il film aveva tutta l'aria di essere brutto. Non mi ero sbagliato, anche se a livello tecnico qualche pregio ce l'ha (il regista ha ammesso influenze da "La notte dei morti viventi" e "Gli uccelli" per la scena dell'assedio alla casa). In un'opera ascrivibile al genere fantastico, però, la cosa più importante è la cosiddetta sospensione dell'incredulità. Per avere paura di un branco di zombi che avanza sullo schermo, per esempio, si deve "fingere di credere" che gli zombi esistano davvero. E se questo vale per i B-movie più ingenui, a maggior ragione deve valere per pellicole ambiziose come questa. Ma per convincermi a "credere" che i cerchi nel grano non siano opera di qualche buontempone o che un copricapo di carta stagnola possa impedire agli alieni di leggerci nel pensiero, il regista (anche sceneggiatore) avrebbe dovuto sforzarsi molto di più oppure scegliere di realizzare un film comico/demenziale. Invece non mi ha mai convinto che i personaggi del film fossero davvero in pericolo e, di conseguenza, non ho provato particolare tensione durante le scene madri.
Il vero problema, comunque, è un altro. Se come film di fantascienza o thriller la pellicola è fiacca e implausibile (riproporre i cliché degli anni cinquanta prendendosi così sul serio è imperdonabile oltre che incoerente), queste osservazioni sono marginali visto che il suo fulcro sta altrove. Il vero tema è il percorso interiore e religioso del protagonista, mentre i crop circles e gli alieni non sono altro che una metafora per dare dignità alle "teorie" creazioniste. Il reverendo perde la fede quando non scorge più una "volontà superiore" che guida il mondo, e comincia a ritenere che tutte le cose brutte che accadono intorno a lui siano solo frutto del caso. La riacquista invece quando lui e i suoi familiari si salvano proprio per una serie di coincidenze (l'asma del figlio, i bicchieri d'acqua lasciati in giro dalla bambina, e così via), che dunque non sarebbero tali ma miracoli, segni (signs) dell'esistenza di Dio. Un "ragionamento" misticheggiante e ai limiti della superstizione, purtroppo comune nella patria dell'anti-evoluzionismo, che non fa altro che banalizzare il pensiero ateo e scientifico, ben più fondato e sofferto di come venga ritratto qui, ma a ben pensarci anche la fede cristiana, ridotta a un semplice meccanismo "vedo il miracolo, e dunque credo".
Shyamalan compare nel ruolo dell'automobilista che ha investito la moglie del protagonista. Fra gli attori c'è anche Abigail Breslin, la bambina di "Little Miss Sunshine".

27 luglio 2007

Insider (Michael Mann, 1999)

Insider – Dietro la verità (The insider)
di Michael Mann – USA 1999
con Al Pacino, Russell Crowe
**1/2

Visto in DVD.

Se c'è un genere cinematografico nel quale gli americani eccellono, è quello di denuncia. A dire il vero non ne vado pazzo, però questo "Insider" è solido e ben fatto, e può contare su due ottimi attori molto abili a interpretare due personaggi integri e coraggiosi (anche se le loro motivazioni, soprattutto quelle di Crowe, sono un po' ambigue). Si ispira alla storia vera di Jeffrey Wigand, scienziato e responsabile del settore ricerca e sviluppo di una grande industria del tabacco, che (dopo essere stato licenziato perché contrario a manipolare chimicamente la nicotina per aumentarne la capacità di assuefazione) venne convinto dal giornalista televisivo Lowell Bergman a rivelare pubblicamente tutte le menzogne dei suoi capi. I magnati del tabacco, proprio come una famiglia mafiosa, provarono a fermarlo in tutti i modi, dalle velate minacce a lui e ai suoi familiari fino al tentativo di screditarlo con una campagna stampa diffamatoria, e riuscirono addirittura a "convincere" la CBS a non mandare in onda l'intervista. Ma alla fine, grazie alla caparbietà di Bergman, la verità trionfò e portò alla prima causa vincente, con relativa richiesta di indennizzo, contro le industrie del tabacco. Il film ha forse qualche lungaggine di troppo nella parte centrale, e sarebbe stato meglio sfrondare un po' di scene relative alla famiglia di Wigand. Meglio invece la parte finale, incentrata sul potere del giornalismo d'inchiesta, che ricorda pellicole come "Tutti gli uomini del presidente" e "Good night, and good luck", anche se rende il film un po' disequilibrato (nell'ultima mezz'ora Crowe quasi scompare dalla pellicola). Curioso parallelo fra i due protagonisti, quando escono per l'ultima volta dai rispettivi luoghi di lavoro (Wigand all'inizio del film, il giornalista Bergman alla fine), in un ralenti quasi hongkonghese.

26 luglio 2007

Fearless (Ronny Yu, 2006)

Fearless (Huo Yuanjia)
di Ronny Yu – Cina/Hong Kong 2006
con Jet Li, Yong Dong, Shido Nakamura
**1/2

Visto al cinema Colosseo, con Albertino.

Biografia romanzata di Huo Yuan-jia, leggendario praticante di wushu e fondatore dell'associazione di arti marziali Chin Woo, oggi diffusa in tutto il mondo. All'inizio del ventesimo secolo, Huo sfidò numerosi campioni stranieri per rinsaldare l'orgoglio nazionale della Cina. Quasi tutto il film è narrato in un lungo flashback che segue il protagonista dall'infanzia alla giovinezza, trascorsa nell'ossessione di diventare il campione della sua città attraverso una serie di combattimenti sempre più insensati e cruenti, prima di giungere alla faticosa comprensione del vero valore del wushu (non quello di sconfiggere l'avversario, ma quello di migliorare sé stessi) e del suo ruolo aggregante e sociale. Oltre a costituire il ritorno di Jet li in patria ("Hero" a parte, i suoi ultimi film erano tutti occidentali), è un ottimo film di arti marziali (le coreografie sono del solito Yuen Woo Ping), con poco wire work e numerosi e variopinti combattimenti caratterizzati da un sonoro e da una fisicità notevoli. Anche il regista è tornato a Hong Kong dopo una parentesi americana tutt'altro che disprezzabile (suo è l'eccellente "La sposa di Chucky", per esempio). In passato il personaggio di Huo aveva già ispirato il cinema di kung fu, per esempio nel classico "Dalla Cina con furore" con Bruce Lee e nel suo remake "Fist of Legend" con lo stesso Jet Li (in entrambi i casi i protagonisti erano discepoli di Huo).

Nota: ho letto che ne esiste una versione "director's cut" con circa mezz'ora di scene in più, nelle quali comparirebbe anche Michelle Yeoh!

Amore fra le rovine (G. Cukor, 1975)

Amore fra le rovine (Love among the ruins)
di George Cukor – GB 1975
con Laurence Olivier, Katharine Hepburn
***1/2

Visto in VHS.

Delizioso film televisivo con due vecchie glorie dello schermo che si esibiscono in un'interpretazione di alta qualità su una sceneggiatura scoppiettante e all'altezza dei grandi capolavori di Cukor. Olivier veste i panni di un avvocato londinese che deve difendere in tribunale un'anziana donna accusata da un giovane di averla sedotta e di aver poi rotto la proposta di matrimonio. Ma lo stesso avvocato, cinquant'anni prima, aveva conosciuto la signora, allora giovane attrice, e se ne era invaghito. Lei lo aveva però lasciato senza spiegazioni, condannandolo a una vita solitaria fatta di ricordi e di rimpianti. E mentre lui non l'ha mai dimenticata, lei sembra non ricordarsi affatto di lui... L'arringa finale dell'avvocato è un capolavoro di tecnica oratoria e al tempo stesso una struggente dichiarazione d'amore, mentre i duetti e i battibecchi fra i due protagonisti ricordano i grandi film hollywoodiani degli anni trenta e quaranta, nonostante l'ambientazione e l'atmosfera siano tipicamente britanniche.

25 luglio 2007

L'uomo che fuggì dal futuro (G. Lucas, 1971)

L'uomo che fuggì dal futuro (THX 1138)
di George Lucas – USA 1971
con Robert Duvall, Donald Pleasance
**

Visto in DVD.

Per il suo primo film, prodotto da Francis Ford Coppola, Lucas ha rielaborato un cortometraggio che aveva presentato come lavoro finale alla scuola di cinema che frequentava. Si tratta di un tipico rappresentante di quel genere di fantascienza sociale che descrive società future oppressive e meccanicizzate, eredi di 1984 e del "Grande Fratello" di Orwell. Gli uomini, che vivono sottoterra in un ambiente asettico e claustrofobico dove tutti vestono di bianco, non hanno un nome ma solo una sigla (THX 1138 è quella del protagonista, LUH 3417 quella della sua compagna) e vengono mantenuti sotto controllo sin dall'infanzia mediante l'assunzione obbligata di droghe e sedativi. Le videocamere e i sorveglianti sono dappertutto, mentre l'ordine è mantenuto da poliziotti robotici. Ogni individuo è al servizio della produzione e delle "masse", l'amore e le emozioni sono bandite, il sesso – se non strettamente regolamentato – è illegale, mentre la televisione 3D trasmette catartiche scene di violenza e le numerose cappelle offrono ai "fedeli" un conforto preregistrato e sempre uguale. Freddo, monotono e un po' pallosetto, il film non mi ha molto impressionato: i personaggi (per esigenze di trama, certo) non sono quasi caratterizzati, mentre i dialoghi si limitano a infiniti elenchi di numeri, codici e procedure tecniche per sottolineare la disumanizzazione della società. La prigione nella quale viene rinchiuso THX rimane però impressa, un immenso spazio bianco privo di qualsiasi cosa, come la Dimensione Delta di Romano Scarpa. Qualche anno fa avevo anche letto il libro (versione Urania) che Ben Bova aveva tratto dal film, e mi era piaciuto di più.

The cocoanuts (Santley, Florey, 1929)

Le noci di cocco, aka Il ladro di gioielli (The cocoanuts)
di Joseph Santley, Robert Florey – USA 1929
con Groucho, Chico e Harpo Marx
**1/2

Rivisto in DVD con Albertino, in originale con sottotitoli inglesi.

Prima dell'avvento del sonoro, sarebbe stato impossibile per i fratelli Marx approdare al cinema. E infatti, prima di questa pellicola d'esordio, avevano lavorato soprattutto nel mondo del teatro e del vaudeville. Non a caso "The Cocoanuts" è la rappresentazione filmata di un loro precedente lavoro teatrale, e come tale è estremamente frammentato e presenta troppi numeri musicali o balletti slegati fra loro. I tre fratelli (in realtà c'è anche Zeppo, ma come al solito la sua presenza sulla scena è impalpabile) dividono la scena con altri attori e non hanno molto spazio per valorizzare la propria comicità, ma i momenti memorabili non mancano, dalle battute di Groucho ("Tre anni fa arrivai in Florida senza un soldo in tasca. Ora ho un soldo in tasca!") ai suoi duetti con Chico (su tutti la gag "Viaduct/Why a duck?" e la scena dell'asta pubblica), per non parlare del "folle" e guastatore Harpo che mangia i telefoni e ruba i vestiti dalle persone mentre queste li indossano. I personaggi dei tre fratelli sono già completamente caratterizzati, mentre la loro capacità di seminare caos e disordine negli ambienti più rispettabili è ancora all'acqua di rose, messa in secondo piano da una sottotrama romantica e da una vicenda a base di furti di gioielli che lascia un po' il tempo che trova.

23 luglio 2007

Sotto la sabbia (François Ozon, 2000)

Sotto la sabbia (Sous le sable)
di François Ozon – Francia 2000
con Charlotte Rampling, Bruno Cremer
***1/2

Visto in divx alla Fogona.

Una donna di mezza età va in spiaggia con il marito: ma l'uomo scompare misteriosamente. Dopo la preoccupazione, l'affanno e le prime ricerche, la donna torna alla propria vita cittadina come se nulla fosse successo, negando la realtà, mettendo la testa "sotto la sabbia" e continuando a immaginare di vivere insieme a un marito ormai inesistente e che vede soltanto lei, forse perché incapace di elaborare il lutto oppure perché troppo abituata alla vita borghese che ha sempre condotto. Difatti non riesce né a cambiare il proprio tenore di vita né a lasciarsi corteggiare da un altro uomo. Bellissimo film dal taglio psicologico e psicanalitico, che sul momento può spiazzare un po' lo spettatore (a un certo punto mi sono trovato a immaginare che il marito non fosse mai nemmeno esistito... per fortuna il film non è un thriller!) ma che riesce a dar vita a un personaggio realistico e spirituale e a situazioni quanto mai allucinate e stranianti. Ottima l'interpretazione della Rampling, che successivamente Ozon sceglierà ancora come protagonista dell'altrettanto inquietante, ma meno riuscito, "Swimming pool" (sceneggiato, come questo, insieme a Emmanuèle Bernheim, di cui curiosamente la Rampling interpreterà la madre in "È andato tutto bene").

Meet the Feebles (P. Jackson, 1989)

Meet the Feebles
di Peter Jackson – Nuova Zelanda 1989
animazione con pupazzi
**1/2

Visto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Prima dei premi Oscar e del "Signore degli Anelli", Peter Jackson era noto per il suo irresistibile "cattivo gusto" e per una voglia sfrenata di sperimentazione, soprattutto nel campo dell'animazione a passo uno e degli effetti speciali artigianali. Questa pellicola, l'unica delle sue a non essere mai giunta da noi, è una parodia del Muppet Show, il celebre spettacolo con pupazzi animati. Anche i Feebles sono una banda di animali protagonisti di uno spettacolo televisivo, ma – a differenza dei Muppet – dietro le quinte del loro show si nascondono perversioni e scandali di ogni tipo. Uno dei protagonisti (un coniglio) ha una vita sessuale sregolata e si ammala di AIDS; un lanciatore di coltelli (un alligatore), veterano del Vietnam, è un tossico all'ultimo stadio; il produttore dello spettacolo (un tricheco) arrotonda i guadagni trafficando in cocaina e affittando lo scantinato per girare film porno sadomaso; e come se non bastasse, tradisce la star (Heidi, un ippopotamo grasso e depresso) con la quale aveva una relazione, e quest'ultima si vendicherà compiendo una strage con una mitragliatrice il giorno della diretta in televisione. Violento e dissacrante, ripieno di humor nero o semplicemente di scene "disgustose" (non mancano vomito, pustole, squartamenti), mette in scena un mondo nel quale un elefante può procreare con una gallina (ed essere costretto all'esame del DNA per provare che il figlio è suo, anche il pulcino se ha la proboscide!) e una mosca fare il giornalista scandalistico perché ama rovistare nelle... toilette. La trasgressione, comunque, non è fine a sé stessa ma al servizio di una storia. Un film decisamente non per tutti, ma chi sta al gioco si divertirà di sicuro.

22 luglio 2007

Naked weapon (Ching Siu-tung, 2002)

Naked weapon (Chek law dak gung)
di Ching Siu-tung – Hong Kong 2002
con Maggie Q, Anya, Daniel Wu
*1/2

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli inglesi.

L'organizzazione di "Madame M" rapisce ragazzine di 12-13 anni da ogni parte del mondo e le imprigiona su un'isola deserta dove vengono addestrate per diventare temibili assassine. Un agente della CIA indaga e, sei anni dopo, incontra e si innamora di una di loro. Lo avevo già visto un paio di anni fa, questo film, ma me ne ero dimenticato e me ne sono reso conto soltanto una decina di minuti dopo che il DVD era partito, a testimonianza di quanto poco mi fosse rimasto impresso. Eppure la prima parte, quella del duro addestramento delle bambine sull'isola, non è poi male nella sua assurdità e nella crudeltà sopra le righe (con la sceneggiatura del solito Wong Jing). Il resto, invece, è il solito action movie hongkonghese di nuova generazione, con un grande livello produttivo (location esotiche – la pellicola si apre a Roma! – e belle ragazze) ma scarsa qualità a livello di sceneggiatura, e dove nemmeno le battaglie a colpi di arti marziali riescono a salvare la pellicola (ormai gli attori non sono più veri atleti, come erano Jackie Chan e compagni, ma vengono aiutati da cavi e manipolati da effetti speciali alla "Matrix"). La regia di Ching Siu-tung è professionale, ma il film è tutt'altro che memorabile. Nessuna parentela, Wong Jing a parte, con "Naked killer".

19 luglio 2007

Harry Potter 5 (D. Yates, 2007)

Harry Potter e l'ordine della fenice (Harry Potter and the Order of the Phoenix)
di David Yates – USA/GB 2007
con Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson
**1/2

Visto al cinema Apollo, con Saveria, Albertino e Alfredo.

Mi è piaciuto più di quanto avessi previsto, visto che ritengo il quinto libro il più debole in assoluto della serie, quasi un "riempitivo" che, anziché portare avanti la vicenda (la rivelazione della profezia, pompata come se costituisse chissà quale shock per i personaggi, non scuote minimamente il lettore/spettatore), si perde in contorti complotti di società segrete ed è apprezzabile solo per i toni cupi e l'atmosfera di accerchiamento e paranoia. L'adattamento cinematografico, invece, sfronda saggiamente gran parte della "zavorra" della prima parte del volume, riducendo al minimo il ruolo dell'ordine che dà il titolo all'episodio e concentrandosi di più sul protagonista e sugli avvenimenti che accadono a Hogwarts, rinunciando magari a qualche sottotrama (come quella degli esami del quinto anno) o a qualche spiegazione (non viene specificato, per esempio, che all'origine della profezia c'è la professoressa Cooman) ma dando il giusto spazio al bel personaggio dell'inquisitrice Dolores Umbridge, interpretata da un'ottima Imelda Staunton che va ad aggiungersi a un cast di comprimari di tutto rispetto, grazie anche al ritorno di gran parte dei personaggi degli episodi precedenti. Simpatico anche il personaggio della piccola Luna(tica) Lovegood. Per quasi tutto il film il nemico non è costituito dalle forze oscure di Voldemort e dei suoi seguaci, bensì dalle ottuse e bigotte istituzioni del mondo magico che cercano di prendere il controllo della scuola e si rifiutano di credere agli avvenimenti di cui Harry è stato testimone in passato. Dimenticato il Quidditch, c'è poi spazio per una magia finalmente di respiro epico e usata in combattimenti a base di incantesimi: il duello finale contro i Mangiamorte (i seguaci di Voldemort) e il confronto fra Silente e l'Oscuro Signore donano alla saga – forse per la prima volta – quella tensione che era un po' mancata in passato. In più viene approfondito anche il personaggio di Harry, in piena fase di cambiamento adolescenziale: la sua rabbia e la sua insicurezza sfociano nella (ri)scoperta dell'amicizia e in quella dell'amore (c'è una bella scena con il suo primo bacio con la "cinesina" Cho), rendendolo finalmente più adulto e affine al pubblico. Yates (regista televisivo britannico finora sconosciuto) dirige senza infamia e senza lode: è già stato annunciato che sarà lui il responsabile anche del sesto episodio. Da notare che lo sceneggiatore è cambiato: si tratta di Michael Goldenberg, a differenza dello Steve Kloves che ha firmato tutti gli altri film (e firmerà i successivi tre). Che sia per questo che mi è piaciuto di più?
Nota: il magazzino stracolmo di "profezie" contenute nelle bocce di vetro mi ha fatto pensare al terzo film di Lamù, "Remember my love" (quello da cui anche questo blog prende il nome), dove c'è una scena così simile da rendere difficile pensare che possa trattarsi di una coincidenza...

Harry Potter 4 (M. Newell, 2005)

Harry Potter e il calice di fuoco (Harry Potter and the goblet of fire)
di Mike Newell – USA/GB 2005
con Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson
**

Il quarto libro è il mio preferito della serie scritta da J. K. Rowling, ma purtroppo il corrispondente film costituisce un passo indietro rispetto al terzo, anche a causa dell'ennesimo avvicendamento alla regia (al posto del visionario Cuarón arriva il non trascendentale autore di "Quattro matrimoni e un funerale", destinato peraltro a rimanere per un solo capitolo). Con questa storia, la saga di Harry Potter prende una piega sinistra e la morte comincia a farsi strada fra i personaggi. Al termine di un lungo torneo fra i rappresentanti di tre diverse scuole di magia, che porta a mettere da parte persino l'insopportabile gioco del Quidditch, fin troppo presente negli episodi precedenti, Harry deve assistere al definitivo ritorno del suo arcinemico Lord Voldemort e all'uccisione di un suo compagno di classe (il poco caratterizzato e quasi mai visto prima Cedric Diggory). Buoni gli effetti speciali, ma la tensione non è al massimo e il film è nel complesso dimenticabile. Non ho apprezzato, per esempio, che ci vengano mostrate soltanto le prove superate da Harry Potter e non quelle dei suoi concorrenti nel torneo. Quattro le new entry di rilievo: Brendan Gleeson (il professor "Malocchio" Moody), Miranda Richardson (la giornalista impicciona Rita Skeeter), Timothy Spall (l'infido e "topesco" Peter Minus) e soprattutto Ralph Fiennes, che da qui alla fine presterà il volto (si fa per dire, visto che ne è quasi privo) al mega-cattivo Lord Voldemort.

Harry Potter 3 (A. Cuarón, 2004)

Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (Harry Potter and the prisoner of Azkaban)
di Alfonso Cuarón – USA/GB 2004
con Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson
**1/2

Come volevasi dimostrare, è bastato sostituire un regista mediocre come Columbus con uno dotato di maggior talento come Cuarón per dare vigore alla saga e sfornare quello che finora è forse il miglior episodio cinematografico della serie. Il regista messicano ha la giusta personalità per rendere interessante il mondo magico in cui si svolgono le vicende, non più a livello soltanto infantile ma a tutto tondo, con adeguate suggestioni estetico-visive e un certo senso del meraviglioso. Piccoli tocchi umoristici anche "cattivi" abbelliscono scenari e situazioni (il platano picchiatore che mangia gli uccellini, per esempio), la fotografia rende dark e fascinosi ambienti e paesaggi (belle le scene al chiaro di luna), mentre la sceneggiatura elimina finalmente alcuni dettagli presenti nel romanzo ma superflui rispetto alla storyline principale. Un film non è un libro, e la troppa fedeltà all'originale è spesso più un male che un bene. La pellicola introduce un personaggio fondamentale, Sirius Black, il "padrino" di Harry, il cui volto da malandrino è quello di un Gary Oldman che per una volta non recita troppo sopra le righe. Ma il cast dei comprimari si arricchisce anche di altri mostri sacri: Emma Thompson nei panni della sedicente veggente Sibilla Cooman, David Thewlis in quelli del professor Lupin, Julie Christie come madame Rosmerta, e Michael Gambon che sostituisce lo scomparso Richard Harris come preside di Hogwarts. Emma Watson, infine, si fa sempre più carina! D'altronde fra la lavorazione del secondo film e quella del terzo sono passati non uno ma due anni, e la cosa si vede: i tre protagonisti dimostrano ben più dei tredici-quattordici anni che i loro personaggi dovrebbero avere.

Harry Potter 2 (C. Columbus, 2002)

Harry Potter e la camera dei segreti (Harry Potter and the chamber of secrets)
di Chris Columbus – USA/GB 2002
con Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson
*1/2

Nel corso del suo secondo anno alla scuola di magia di Hogwarts, Harry Potter deve vedersela con un basilisco, un mostro che pietrifica gli studenti mezzosangue, fuoriuscito dalla "camera dei segreti" per opera di un misterioso erede di Serpeverde (uno dei fondatori della scuola). Se il secondo libro della saga di J. K. Rowling era all'altezza o forse anche migliore del primo, il secondo film è decisamente inferiore al precedente ed è probabilmente il peggiore della serie (almeno finora: quando scrivo, sono usciti i primi cinque). Colpa, oltre che del solito Columbus alla regia, soprattutto di una sceneggiatura monocorde che nell'adattare il romanzo sceglie di svolgere il "compitino" e di riportare sullo schermo pari pari tutto ciò che era presente nel volume, dando identico peso ai dettagli importanti e a quelli inutili, senza il coraggio di eliminare quest'ultimi (forse per paura della reazione dei fan). Come risultato, la pellicola è troppo densa di elementi, a scapito di quelli veramente importanti. Un esempio per tutti: Ginny, la sorella minore di Ron, viene introdotta rapidamente all'inizio della pellicola per poi scomparire per quasi tutto il film e riapparire nel finale come deus ex machina della vicenda, in maniera completamente anticlimatica. Cosa costava eliminare alcune sequenze e darle così più spazio all'interno di un film decisamente troppo affollato, monotono e noioso (oltre che troppo lungo)? Fra gli attori, una sola new entry di rilievo: Kenneth Branagh, che interpreta il vanesio Gilderoy Allock, nuovo insegnante di difesa contro le arti oscure (un incarico ricoperto in ogni episodio da un personaggio differente).

Harry Potter 1 (C. Columbus, 2001)

Harry Potter e la pietra filosofale (Harry Potter and the sorcerer's stone)
di Chris Columbus – USA/GB 2001
con Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson
**

Quando compie undici anni, il giovane orfano Harry scopre di essere un mago e viene iscritto alla scuola di stregoneria di Hogwarts. Ma la comunità dei maghi e delle streghe, che si aggirano nel mondo all'insaputa dei normali esseri umani (i "babbani"), è in allarme per il ritorno di un incantatore oscuro e malvagio, Lord Voldemort, che sembra avere un conto in sospeso proprio con il piccolo Harry. Con l'aiuto degli amici Ron ed Hermione, Harry combatterà contro le forze del male, frequentando nel frattempo per sette anni (uno per ciascun episodio) le lezioni di Hogwarts e crescendo insieme ai suoi amici (e ai lettori/spettatori).
Non sono un grandissimo fan della serie, ma ho voluto comunque leggermi i libri di J. K. Rowling prima di vedere i film, e non mi sono affatto dispiaciuti: si tratta di opere decisamente per bambini, senza particolari livelli di lettura, ma ben scritti e conditi con la giusta dose di mistero e di fascino per l'ignoto. Sono però convinto che il loro successo dipenda non tanto da questo "ignoto" quanto dal "noto", ovvero dalla grande intuizione (nemmeno poi tanto originale, a dire il vero) di trasferire nel mondo della fantasia un'ambientazione estremamente familiare ai giovani lettori, quella scolastica. Elementi come le classi, le lezioni, gli insegnanti, i compiti a casa sono stati trasfigurati attraverso la lente deformante della magia (una magia piuttosto stereotipata, però, con bacchette, cappelli a punta e scope che volano), mettendo in moto con inaspettato vigore il meccanismo della suggestione e dell'identificazione. Interessanti anche i riferimenti al sistema scolastico inglese: la scuola di Hogwarts è quasi una versione ridotta di college britannici come quelli di Oxford o Cambridge, con tanto di divisioni in "case" (Grifondoro, Corvorosso, Tassonero e Serpeverde) che competono fra loro non soltanto in base ai risultati scolastici ma anche attraverso competizioni sportive come il celebre (e noioso) Quidditch.
Differente è il discorso relativo agli adattamenti cinematografici. Visto l'incredibile successo dei libri (e l'argomento così affine al cinema fantastico e degli effetti speciali), Hollywood ha fiutato l'affare e ha trasformato la saga in un franchise dagli incassi assicurati. Film che però da subito sono apparsi senz'anima, visto anche il coinvolgimento di un regista mediocre come Chris Columbus, probabilmente scelto per il successo del suo precedente "Mamma, ho perso l'aereo" e dunque considerato adatto a dirigere un blockbuster con bambini come protagonisti. Il timore di una reazione negativa dei fan di fronte a eventuali cambiamenti nel passaggio da libro a film, inoltre, ha dato vita a una trasposizione "ingessata", con uno sceneggiatore (Steven Kloves) senza una propria personalità. Il primo capitolo riesce comunque a coinvolgere lo spettatore, grazie alla sua natura di introduzione al mondo magico di Hogwarts. Lo spettacolo è garantito dalle scenografie e dagli effetti speciali, anche se la trama concede troppo spazio al gioco del Quidditch e tace su altre cose (si potevano riservare una decina di secondi per illustrare il background di Hermione, per esempio: sullo schermo sembra un'antipatica secchiona, mentre sarebbe bastato menzionare il fatto che è figlia di genitori "babbani" – e dunque, a differenza di Ron, non pratica di magia – per motivare il suo disperato bisogno di recuperare il terreno perduto attraverso uno studio più intenso). Dei tre attori-bambini protagonisti, Emma Watson è l'unica che sembra avere il talento sufficiente a garantirsi una buona carriera anche dopo la conclusione della saga (non a caso ha espresso più volte il desiderio di percorrere altre strade, minacciando persino di non partecipare a tutti e sette gli episodi). In ogni caso, la loro crescita fisica si è rivelata più rapida di quanto avessero previsto i produttori. Fra i comprimari spiccano molti nomi illustri, per lo più britannici: da Richard Harris (il preside Albus Silente) a Maggie Smith (la professoressa McGranitt), da John Cleese (il fantasma "quasi" senza testa) al grandissimo Alan Rickman (l'ambiguo professor Piton, forse il miglior personaggio di tutta la serie), da John Hurt (il venditore di bacchette magiche) a Robbie Coltrane (il gigantesco Hagrid), e c'è persino il nano Warwick Davis, visto anni fa in "Willow".

18 luglio 2007

Je t'aime, moi non plus (S. Gainsbourg, 1976)

Je t'aime, moi non plus (id.)
di Serge Gainsbourg – Francia 1976
con Jane Birkin, Joe Dallesandro
**1/2

Visto in DVD.

Un camionista gay si innamora di una ragazza androgina (minuta, capelli corti, seno piccolo), chiamata "Johnny" perché sembra un ragazzo, che lavora presso una stazione di servizio. Ma non riesce a far sesso con lei se non sodomizzandola. Ambientato negli Stati Uniti, in una regione desolata e disabitata non meglio definita, racconta una storia di personaggi disperati che lottano contro la solitudine del loro vero essere e mostra senza fronzoli una storia di amore e di sesso senza la necessità di ricorrere a uno stile patinato, anzi sfiorando lo squallido (vedi certe ambientazioni come la discarica della spazzatura, le strade polverose, il locale dove lavora Johnny, il ballo con lo strip-tease, gli alberghi a ore dove si recano i due protagonisti). Il titolo è preso dalla celebre – e altrettanto "scandalosa" – canzone di Gainsbourg, che però compare solo in versione strumentale (il resto della colonna sonora è invece un insolito country). Bella la scelta di paesaggi e scenografie iperrealistiche, così come la fotografia e i colori vivaci (il camion giallo, i cieli azzurri). Gerard Depardieu compare in una piccola particina.

17 luglio 2007

Time (Kim Ki-duk, 2006)

Time (Shi gan)
di Kim Ki-duk – Corea del Sud 2006
con Ha Jung-woo, Sung Hyun-ah
*1/2

Visto in DVD, con Cristina e Giovanni.

Nel timore che il suo fidanzato non l'ami più perché stufo di vedere sempre la stessa faccia, una ragazza si sottopone a una plastica facciale senza dirglielo. Quando si rifà viva sei mesi dopo, con un nuovo nome e una nuova identità, scopre che lui non ha ancora dimenticato il suo volto precedente. A circa due terzi del film stavo quasi illudendomi che Kim Ki-duk fosse finalmente uscito dall'impasse creativa evidenziata dalle sue ultime, deludenti, pellicole. E invece, dopo una prima parte tutto sommato interessante con suggestioni sul tema della perdita di identità e del tempo che passa (inquietante e quasi da film horror la sequenza in cui la ragazza si "maschera" con una fotografia che riproduce il suo volto originale), da un certo punto in poi mi è sembrato che il regista non sapesse più come far andare avanti la vicenda e riempire il tempo che restava: e di colpo sceglie di capovolgere i ruoli, cambiare le carte in tavola e tradire la psicologia del personaggio maschile per come era stato presentato fino ad allora: stavolta è lui a cambiar faccia e lei a cercarlo disperatamente, ignara del suo nuovo volto. Se ci aggiungiamo un finale "zen" che riprende l'incipit senza voler dire assolutamente nulla (suggerire che il tempo è circolare, forse? "Prima della pioggia" lo faceva con ben altra intensità), ecco l'ennesimo passo falso di un regista che, da quando ha cominciato a far film su misura per il pubblico dei festival, ha perso ogni appeal e quella sincera "cattiveria" che me lo aveva fatto amare nelle sue prime pellicole (come "Bad guy", "Address unknown" o "The birdcage inn").

12 luglio 2007

Transformers (Michael Bay, 2007)

Transformers (id.)
di Michael Bay – USA 2007
con Shia LaBeouf, Megan Fox
*1/2

Visto al cinema Plinius.

Era la prima volta che vedevo un film di Michael Bay, regista i cui prodotti precedenti, tutti regolarmente a base di botti ed esplosioni, non mi hanno mai interessato. E se è per questo, non ho mai seguito nemmeno la serie televisiva dei Transformers: da bambino non gradivo affatto lo stile di disegno "americano", preferendo quello giapponese. Il film, come da aspettative, è una baracconata hollywoodiana con personaggi superficialissimi e battute che non fanno ridere (l'unica che mi ha strappato un sorriso è stata "Teniamoci aggiornati sugli acronimi!"), il tutto condito da noiose e interminabili scene d'azione con l'immancabile e retorica esaltazione dei valori militari e del patriottismo. Se vedere sullo schermo automobili che si trasformano in robottoni e che si menano fra loro può essere moderatamente divertente, l'infimo livello della sceneggiatura fa capire come i produttori puntino a un pubblico il più allargato possibile e di basso livello socio-culturale, interessato – come il protagonista – soltanto alle auto, alle belle ragazze, alla tecnologia (vista però come qualcosa di "magico", donata dall'alto – nella fattispecie, da una misteriosa razza aliena). La macchina da presa è incapace di star ferma un attimo, il montaggio è frenetico e confuso, e la mediocre musica è perennemente coperta dal caos e dai rumori delle esplosioni. Notevoli, in ogni caso, gli effetti speciali: i robottoni rimangono sullo schermo a lungo e sono protagonisti come e più dei personaggi in carne e ossa (non che ci volesse molto, visto che – a parte John Turturro e lo stereotipatissimo Jon Voight in due ruoli minori – gli attori sono di livello televisivo).

Azumi (Ryuhei Kitamura, 2003)

Azumi (id.)
di Ryuhei Kitamura – Giappone 2003
con Aya Ueto, Kenji Nohashi
*

Visto in DVD, con Albertino.

Nel Giappone medievale, durante la guerra civile, alcuni ragazzini orfani vengono addestrati per diventare freddi e spietati assassini ed eliminare i signori della guerra che si ostinano a proseguire la lotta. La protagonista Azumi (interpretata dalla solita attricetta-lolita con il viso pulito e senza espressione) è prima costretta a uccidere il proprio miglior amico e poi a compiere una serie di missioni sempre più cruente contro ninja e samurai. La storia è tratta da un manga che non deve certo brillare per originalità, visto che è condito da stereotipi di ogni genere (c'è persino il cattivo "bello", con i capelli lunghi, vestito di bianco e con una rosa in mano). Personaggi privi di caratterizzazione, attori visibilmente incapaci di recitare, sequenze slegate le une dalle altre, infiniti duelli con le spade tutti uguali, secchiate di sangue schizzate ridicolmente ovunque: gli ultimi dieci minuti (quelli con la battaglia finale) non li ho nemmeno visti, perché sonnecchiavo.

11 luglio 2007

Sitcom (François Ozon, 1998)

Sitcom – La famiglia è simpatica (Sitcom)
di François Ozon – Francia 1998
con Évelyne Dandry, François Marthouret
**1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Lungometraggio d'esordio di Ozon, uno dei giovani registi europei più dotati e interessanti: e ci sono già tutti i suoi marchi di fabbrica, dai toni grotteschi alla grande attenzione alle scenografie, dall'impostazione teatrale al ritratto caricaturale della borghesia, dall'omosessualità (latente o dichiarata) dei personaggi alla rottura dei più svariati tabù sociali. La storia, che qua e là ricorda la follia e la cattiveria di autori quali Takashi Miike e Michael Haneke, si svolge quasi interamente nella villa di una famiglia solo apparentemente normale: se il padre sembra disinteressarsi di tutto quel che accade attorno a lui, la madre è invece preoccupatissima perché il figlio ha confessato di essere gay e cerca di "redimerlo" anche attraverso l'incesto; la figlia, che si sente trascurata, tenta prima il suicidio e si dedica poi a pratiche sadomasochistiche; a questi si aggiunge il fidanzato della figlia, da lei vessato in ogni modo; una cameriera spagnola che si prende sempre più libertà; il marito di colore di quest'ultima, insegnante di ginnastica a sua volta omosessuale; e soprattutto un inquietante topolino bianco da laboratorio, vero collante di una vicenda che nel finale assume toni da film horror degli anni cinquanta. La conclusione mi ha lasciato un po' perplesso, ma durante la visione del film mi sono divertito.

9 luglio 2007

Gilda (Charles Vidor, 1946)

Gilda (id.)
di Charles Vidor – USA 1946
con Glenn Ford, Rita Hayworth
***

Rivisto in DVD, con Marisa.

A Buenos Aires, un americano dal passato misterioso fa la conoscenza del ricco proprietario di una sala da gioco clandestina e ne diventa il braccio destro. L'amicizia fra i due si incrina però quando il padrone sposa Gilda, una cantante che aveva avuto in passato una relazione proprio con il protagonista e gli ha lasciato in eredita tutto il cinismo e l'odio che prova nei confronti delle donne. Celebre e torbido noir che rese Rita Hayworth una vera e propria icona del cinema hollywoodiano grazie alla sua bellezza moderna e dirompente, così diversa da quella di altre dive dell'epoca. I suoi numeri di canto e ballo, in particolare quello con i celebri guanti neri, sono indimenticabili. Proprio il fascino sensuale della Hayworth e il suo rapporto di amore/odio con Glenn Ford, personaggio misogino che la tormenta per gelosia, rappresentano il vero punto di forza di un film che per il resto non è eccezionale (tranne che per la fotografia) e si appoggia su una trama contorta e poco interessante, con intrighi polizieschi/economici piuttosto fumosi.

8 luglio 2007

Thank you for smoking (J. Reitman, 2005)

Thank you for smoking (id.)
di Jason Reitman – USA 2005
con Aaron Eckhart, Cameron Bright
**1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Il bravo Aaron Eckhart veste i panni di un "lobbista" al servizio di una multinazionale del tabacco. Negli Stati Uniti, ossessionati dal salutismo e dalla fobia delle sigarette, ha il difficile e delicato compito di difendere il vizio del fumo cercando di convincere l'opinione pubblica che le sigarette non fanno poi male, e lo fa con una parlantina brillante, una faccia tosta e molti artifici retorici. Caratterizzato da un protagonista simpaticamente "amorale", il film è una commedia "politicamente scorretta" divertente e ben riuscita (seppure a tratti implausibile e troppo caricaturale), anche se forse dopo una ventina di minuti ha già detto tutto quello che aveva da dire. Devo ammettere inoltre che mi aspettavo un taglio più da documentario (o da mockumentary), che forse avrebbe funzionato meglio. Il moralismo e il salutismo escono dalla porta ma rientrano dalla finestra, e la solita accusa a Hollywood di spingere a fumare attraverso le star del cinema ha francamente stufato. Da ricordare le riunioni amichevoli al pub dei "mercanti di morte", ovvero i portavoce delle industrie di tabacco, alcol e armi. Il regista, all'esordio, è il figlio di Ivan Reitman, e infatti il rapporto del protagonista con il proprio figlio ha molta importanza nell'economia del film.

5 luglio 2007

Lagaan (Ashutosh Gowariker, 2001)

Lagaan - Once upon a time in India (Lagaan)
di Ashutosh Gowariker – India 2001
con Aamir Khan, Gracy Singh
***1/2

Rivisto in DVD, con Giovanni e Chiara.

Un musical indiano di tre ore e mezza sul gioco del cricket e di ambientazione storica? Detto così sembrerebbe una vera mazzata, invece di tratta di un film piacevolissimo, divertente e affascinante. Vincitore del premio del pubblico al festival di Locarno, è stato poi il primo (e l'unico, a quanto ne so) autentico film di Bollywood giunto anche nelle sale cinematografiche del nostro paese (non considero tali infatti le pellicole 'da festival' come quelle di Mira Nair – che peraltro non mi piace – o le opere di esuli o emigranti come Gurinder Chadha, realizzate per un pubblico occidentale). Forse mi è piaciuto tanto proprio per il suo esotismo, per l'essere così diverso dal cinema cui sono abituato, più che per i suoi reali meriti, ma non importa: anche a rivederlo rimane un'esperienza unica e gradevole. La vicenda si svolge alla fine del diciannovesimo secolo, quando la mancanza di pioggia rende impossibile a un villaggio di contadini pagare il tributo annuale (il "lagaan", appunto, una parte del raccolto) agli inglesi che occupano la regione. L'altezzoso comandante britannico propone loro una sfida: se batteranno a cricket la squadra della guarnigione verranno esentati dal pagamento della tassa, altrimenti dovranno pagare il triplo. Nonostante l'iniziale scetticismo dei suoi compagni, il prode Bhuvan (il cui amore è conteso fra la bella Gaurì e l'inglese Elizabeth, sorella del suo nemico) riesce a mettere in piedi una squadra e a imparare le regole del gioco in soli tre mesi. L'ultima ora e mezza del film è dedicata all'epica partita, che dura tre giorni (!). Speranze e tradimenti, coraggio e disperazione, amori e gelosie: c'è di tutto in uno spettacolone esaltante e trascinante, condito da canzoni e balli coloratissimi come in ogni film bollywoodiano che si rispetti. Il regista ha ammesso di aver tratto ispirazione anche dai fumetti di Asterix, con la dicotomia galli/romani trasformata in quella indiani/britannici e la caratterizzazione "litigiosa" degli abitanti del villaggio. Anche senza conoscere le regole del cricket, il film si lascia seguire senza problemi e scorre via davvero in un attimo.

Nota: il DVD italiano non ha purtroppo una traccia separata dei sottotitoli per le canzoni (che non sono state doppiate). A meno di non guardare l'intero film in lingua originale, bisogna dunque attivare e poi disattivare manualmente i sottotitoli ogni volta che i personaggi cominciano a cantare.

3 luglio 2007

Il raggio verde (Éric Rohmer, 1986)

Il raggio verde (Le rayon vert)
di Éric Rohmer – Francia 1986
con Marie Rivière, Béatrice Romand
***1/2

Visto in DVD.

Il quinto episodio della serie "Commedie e proverbi", curiosamente ispirato a un romanzo di Jules Verne, è considerato uno dei capolavori di Rohmer e ha vinto il Leone d'Oro a Venezia. È caratterizzato da dialoghi molto realistici, con le voci dei personaggi che si sovrappongono mentre parlano, il che fa pensare che gran parte dei discorsi sia stata improvvisata sul tema, come confermerebbe il ringraziamento alla Rivière "per il testo e l'interpretazione" nei titoli di coda. La protagonista, Delphine, è una ragazza solitaria e complessata, vegetariana e irrequieta, un po' chiusa e asociale. Rimasta sola a Parigi alla vigilia delle vacanze estive (le scene di lei che cammina per le strade assolate, osservando i cittadini che prendono il sole sulle rive della Senna, mi hanno ricordato il film d'esordio dello stesso Rohmer, il bellissimo "Il segno del leone"), cerca inutilmente di trovare rifugio nella compagnia di amiche o di sconosciuti, in mare o in montagna. Le verrà in aiuto un insolito fenomeno atmosferico (descritto nel libro di Verne da cui anche il film prende il titolo), il bagliore verde chiaro dell'ultimo raggio del sole che tramonta dietro l'orizzonte, visibile soltanto in condizioni particolari: si dice che chi lo vede diventi capace di leggere con chiarezza nei propri sentimenti e in quelli altrui. Un'attenta e precisa caratterizzazione psicologica, l'abile maestria narrativa del regista, l'attenzione minimalista ai particolari e le interpretazioni di attori in gran parte non professionisti contribuiscono a rendere questo film un vero gioiellino, con un finale che scalda il cuore.

Una donna vivace (G. Stevens, 1938)

Una donna vivace (Vivacious Lady)
di George Stevens – USA 1938
con Ginger Rogers, James Stewart
*1/2

Visto in DVD, con Albertino.

Incaricato di riportare al paese il cugino "scavezzacollo" (James Ellison) che bazzica i night club di New York, un giovane professore di botanica (James Stewart) finisce per innamorarsi a sua volta di una bionda ballerina di varietà, sposandola immediatamente. Non avrà però il coraggio di dirlo ai genitori e all'ex fidanzata (Frances Mercer), e la farà passare per una sua nuova studentessa. Una commedia romantica degli equivoci senza particolare verve, nonostante l'impegno e la simpatia di Ginger Rogers (già diretta da George Stevens due anni prima in "Follie d'inverno", insieme a Fred Astaire) e la presenza di un ottimo caratterista come Charles Coburn nella padre del padre (nonché direttore dell'università). Musiche di Roy Webb. Per Stewart ("raccomandato" proprio dalla Rogers, che al tempo frequentava), fu uno dei primi ruoli da protagonista.

2 luglio 2007

Acque del sud (H. Hawks, 1944)

Acque del sud (To have and have not)
di Howard Hawks – USA 1944
con Humphrey Bogart, Lauren Bacall
**1/2

Rivisto in DVD, con Martin.

Harry Morgan (Bogart), americano in Martinica che fra i patrioti clandestini fedeli alla Francia libera e i funzionari del governo di Vichy cerca di mantenersi neutrale e si guadagna da vivere portando i turisti a pesca di marlin con la sua barca, viene coinvolto nella guerra quando accetta di trasportare un membro della resistenza in cambio del denaro necessario a permettere alla giovane e affascinante Marie (Bacall), borseggiatrice e aspirante cantante, di acquistare il biglietto per tornare a casa. Inutile dire che invece lei non lo lascerà e, anzi, riuscirà a "prenderlo al laccio". Tratto da un romanzo su commissione di Hemingway (ma la storia è stata spostata dall'originale Florida e sono stati eliminati tutti i riferimenti sociali che avrebbero giustificato il titolo originale), questo film soffre in maniera eccessiva della sindrome di "Casablanca". È evidente, infatti, che l'intenzione dei produttori fosse quella di replicare il successo del lungometraggio di Curtiz, riprendendone temi, personaggi e proponendo un'ambientazione simile. Ma la tensione c'è solo a tratti, nonostante la bravura degli attori e alcuni elementi tipicamente hawksiani (come l'ambiente circoscritto e il protagonista cinico). Il cast è completato da Walter Brennan nella parte dell'assistente ubriacone di Bogey. Fra battute memorabili ("Se mi vuoi, fa' un fischio. Sai fischiare, vero?") e luoghi comuni, il film scorre in fondo senza entusiasmare. È da ricordare soprattutto perché si tratta della prima apparizione sullo schermo di Lauren Bacall (che aveva soltanto 19 anni!), oltre che del suo primo incontro con Bogart. I due si innamorarono durante le riprese: Hawks disse che in realtà Bogey si era infatuato del personaggio da lei interpretato, che così fu costretta a recitarlo per il resto della vita. Ma pare (stando all'IMDb), che lo stesso Hawks, che aveva la fama di donnaiolo, fosse geloso che l'attrice si fosse innamorata di Bogart e non di lui.

Al di là delle nuvole (M. Antonioni, 1995)

Al di là delle nuvole
di Michelangelo Antonioni, Wim Wenders – Italia/Francia 1995
con John Malkovich, Sophie Marceau
*1/2

Rivisto in DVD, con Martin.

Primo (e unico) lungometraggio realizzato da Antonioni dopo l'ictus che lo ha colto nel 1985, è tratto da alcuni suoi racconti pubblicati nell'antologia "Quel bowling sul tevere". Wenders ha collaborato realizzando alcune sequenze (il prologo e la chiusura del film, più alcuni interludi: ha insomma assunto il ruolo che la coppia Dalmasso/Perego aveva nei "Classici di Walt Disney"). E forse il breve piano sequenza conclusivo lungo la facciata del palazzo è la cosa migliore della pellicola. Tutto il resto, infatti, è da dimenticare. Nonostante un cast ricco e prestigioso, la sceneggiatura di Tonino Guerra si perde fra frasi banali e filosofia spicciola, momenti imbarazzanti e relazioni costruite sul nulla. Malkovich, il personaggio che fa da collante alle quattro storie narrate, è un regista che gira in cerca di storie (un personaggio tipicamente wendersiano). A Ferrara, immagina l'incontro fra due giovani (Kim Rossi-Stuart e Inés Sastre) che si innamorano ma si lasciano quasi subito. A Portofino è lo stesso Malkovich a innamorarsi di una donna (Sophie Marceau: quanto mi piace il suo viso enigmatico!) che gli rivela di aver ucciso il padre. A Parigi, un uomo (Peter Weller) non riesce a fare a meno dell'amante (Chiara Caselli) e viene abbandonato dalla moglie (Fanny Ardant) che alla fine incontra un altro uomo abbandonato (Jean Reno). Ad Aix-en-Provence, un ragazzo (Vincent Perez) si innamora di una misteriosa fanciulla (Irène Jacob) che però sta per entrare in convento. Noioso e vuoto, il film rimane impresso soltanto per una certa atmosfera sospesa ed eterea e per il gran numero di nudi femminili, fra cui quello integrale della Marceau. Antonioni è stato un grandissimo del cinema italiano ed è fra i miei registi preferiti, ma è meglio considerare conclusa la sua filmografia con "Identificazione di una donna", 1982.

1 luglio 2007

Alice nel paese delle meraviglie (aavv, 1951)

Alice nel paese delle meraviglie (Alice in Wonderland)
di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske – USA 1951
animazione tradizionale
**1/2

Rivisto in VHS con Elena, Alberto, Eva, Marisa.

Walt Disney aveva sempre desiderato trarre un film dal libro di Lewis Carroll, che amava particolarmente: già negli anni '20, ancora prima di creare Topolino, aveva realizzato degli short che mescolavano animazione e live action con una piccola Alice in carne e ossa che si aggirava in un mondo di meraviglie disegnate. Eppure, a prima vista, sembrerebbe che l'umorismo e il nonsense tipicamente britannici di Carroll non vadano molto d'accordo con il buonismo e i valori conservatori di Walt: Alice è un personaggio "cerebrale", mentre gli eroi Disney si sono sempre basati sui sentimenti. Forse anche per questo motivo l'Alice disneyana è sempre stata considerata da critica e pubblico una pellicola "fuori posto" nella sua filmografia e uno dei suoi lavori meno riusciti, sicuramente meno popolare rispetto ad altre pellicole ad essa contemporanee. Fra gli anni '60 e '70, comunque, il film è tornato di moda, soprattutto nei campus universitari e fra le comunità hippy, che vi hanno visto la descrizione di un viaggio mediante l'uso di sostanze allucinogene: dal coniglio bianco al brucaliffo, sono parecchie le icone prese in prestito dalla cultura alternativa. Personalmente non vado matto per il film (preferisco di gran lunga il libro, anzi i libri, visto che la sceneggiatura pesca anche dal seguito "Attraverso lo specchio"), ma lo trovo comunque gradevole e ricco di invenzioni, a dire il vero più visive che linguistiche come invece era in Carroll. In alcune sequenze che richiamano "Biancaneve" e "Fantasia" (Alice perduta nel bosco, i fiori che si animano), Disney sembra addirittura rifare il verso a sé stesso. E probabilmente si tratta di uno dei classici disneyani che ha più influenzato l'immaginario collettivo: basti pensare, su tutte, alla sequenza della festa di "non compleanno" con il Cappellaio matto (personaggio che tornerà nelle storie di Topolino di Martina/Scarpa) o a quella della partita a croquet con la Regina di cuori.