23 dicembre 2007

L'ultima risata (F. W. Murnau, 1924)

L'ultima risata (Der letzte Mann, aka The last laugh)
di Friedrich Wilhelm Murnau – Germania 1924
con Emil Jannings, Maly Delschaft
***1/2

Visto in DVD, con Martin.

Uno dei grandi capolavori di Murnau e del cinema muto tedesco, in quegli anni probabilmente il migliore del mondo. Il grande Jannings è il portiere di un albergo di lusso, che trae soddisfazione e orgoglio nell'indossare la sua splendente uniforme gallonata. Quando, per la vecchiaia, viene degradato a guardiano dei bagni, l'umiliazione è troppo forte: segretamente trafuga la sua vecchia livrea e continua a indossarla fuori dal lavoro. Scoperto, verrà scacciato di casa e deriso da tutti. La sua storia tragica e patetica sembrerebbe destinata alla fine, ma un cartello (l'unico di tutto il film, a parte quello introduttivo: potenza delle immagini, che non hanno bisogno né di dialoghi né di didascalie!) annuncia che l'autore ha avuto pietà di lui e ha voluto regalare al suo protagonista un happy end "improbabile": e la sequenza conclusiva, nella quale l'uomo diventa ricco per un'improvvisa eredità, è infatti esageratamente irreale e la si guarda quasi pensando che non faccia veramente parte del film, il che aggiunge ancora più emozione per il destino del personaggio. Il titolo originale tedesco significa "L'ultimo uomo", che mi sembra molto più appropriato per raccontare la storia di una persona umile. Il film è ispirato al racconto "Il cappotto" di Gogol e, nelle intenzioni dell'autore, voleva mettere in guardia dall'eccessiva importanza che viene data alle uniformi anziché a coloro che le indossano. Ma alcuni critici lo hanno letto anche come metafora politica di una Germania derisa e umiliata dalle altre potenze e incapace di accettare la sua nuova situazione. Eccezionale la scenografia, sontuosa e meno espressionista di altri film tedeschi dell'epoca, e naturalmente la regia, moderna e dinamicissima, con grande profondità grazie a carrelli che attraversano le grandi stanze dell'albergo, inquadrature attraverso finestre, vetrate e soprattutto la porta girevole dell'hotel. Ottima la copia restaurata, ottenuta da frammenti di provenienza diversa.

2 commenti:

marco c. ha detto...

Ho letto la tua recensione al film “A tempo pieno” è così mi è venuto naturale ripensare a questo capolavoro di M.
Anche il portiere Jannings, come ricordi tu, rifiuta di accettare la nuova demoralizzante condizione e trafuga la sua vecchia livrea. Credo che possa essere effettivamente la metafora della condizione sociale ed economica della germania nel secondo dopoguerra.
Noi oggi fatichiamo a cogliere questo aspetto che per l’epoca doveva essere palese (è del novembre del 1923 l'arrestato di H. per il putsch della birreria).
Oggi vediamo solo una critica di carattere sociale e sbagliamo.
M. era solito criticare la società e la moralità contemporanee senza concentrarsi più di tanto sugli aspetti più politici e/o economici (film “Tabù”).
Comunque per soffermarsi solo sull’aspetto tecnico questo lavoro è eccezionale: le trovate ancora oggi stupiscono per il loro ardire.
La camera a spalla durante il sogno da ubriaco di J. dà l'idea della instabilità e della confusione mentale.
Invece la camera in movimento circolare puntata solo sul viso del protagonista consente di far ruotare la stanza.
Inoltre l’uso innovativo dei carrelli dà allo spettatore sia l'idea del suono che esce dalla tuba e che giunge fino al portiere, sia l'effetto di suggerire l'urlo della moglie mentre vede J. nel bagno.
In questi due casi il movimento del carrello è speculare ma il suo fine è uguale in valore assoluto: mentre in “Shining” (atrio) il carrello si muove parallelamente all’azione, generando un'idea di sospensione spazio-temporale e “allargando” la tensione, qui l'uso del carrello che scorre avanti e indietro ha il fine di ridurre lo spazio e accelerare gli effetti indotti dalle immagini.
Tu citi la scena della porta scorrevole. quante volte l’abbiamo vista in seguito usata e abusata?
Inoltre non ci sono chiusure di diaframma come in “Nosferatu” e il montaggio è più moderno rispetto al “Faust” dove pure c'erano molti più effetti speciali.
Il ritmo dell’azione è più concitato, è quasi tutto in esterna e soprattutto: niente plastici!.
Anticipa “Aurora” (il suo lavoro più riuscito) e prepara “Tabù”.
La recitazione di J. è a tratti sovrarecitata. Inguardabile l'attrice che interpreta la moglie: eccessiva e sopra le righe.
Pollice verso per l'aggiunta finale. se ne faceva davvero a meno. Non ho notizie a riguardo ma potrebbe essere un’aggiunta voluta dal produttore. E comunque è perfettamente spiegabile con l'intento di non demoralizzare una popolazione già stremata dalla crisi più che per una scelta stilistica. Confermerebbe la ricostruzione della critica storicistica. A me viene in mente anche l’imposizione del produttore sul grandissimo Ferreri circa il finale della “Donna Scimmia”.

Christian ha detto...

Grazie per il ricco commento, a partire dall'interessante parallelo fra questo film e "A tempo pieno": due pellicole di epoche diversissime, e su personaggi molto diversi, che però hanno in effetti un tema in comune, benché nel film di Cantet manchi la metafora storico-sociale e si giochi più sul registro individuale ed esistenziale.
Tecnicamente e registicamente, invece, "L'ultima risata" è davvero eccezionale! Murnau era proprio un maestro.
Riguardo ai finali "imposti", un altro esempio che mi sovviene è quello di "Blade runner".