19 agosto 2006

Superman returns (B. Singer, 2006)

Superman returns (id.)
di Bryan Singer – USA 2006
con Brandon Routh, Kevin Spacey
*1/2

Visto al cinema Colosseo, con Albertino, Ghirmawi e altra gente.

Tutto si può dire di Bryan Singer, tranne che sia un iconoclasta. Per il ritorno di Superman sul grande schermo non solo ha rifiutato di fare tabula rasa delle precedenti pellicole dedicate all'Uomo d'Acciaio ma ha scelto di ripartire proprio da esse, come testimonia il tema della colonna sonora, esattamente lo stesso di quasi trent'anni fa. Dal vecchio film di Donner provengono anche gli spezzoni "riciclati" con Marlon Brando, mentre dalle copertine di celebri albi degli anni trenta e degli anni quaranta arrivano celebri immagini ricreate in studio (altre pose, invece, ricordano in maniera impressionante i disegni iperrealisti di Alex Ross). E così, anziché rinarrare le origini del personaggio (alle quali dedica una sola scena, peraltro completamente inutile e fuori posto nello schema del film), il regista e gli sceneggiatori "fingono" che dalle ultime apparizioni dei personaggi siano passati cinque anni, nel corso dei quali Superman è letteralmente stato assente dal pianeta Terra, impegnato in un lungo e vano viaggio nello spazio alla ricerca dei resti del suo pianeta natale, Krypton. Nel frattempo Lex Luthor è uscito di prigione, Lois Lane ha messo su famiglia e il resto del mondo ha raggiunto uno strano stadio tecnologico in cui telefonini e internet convivono con palazzi e automobili di cinquant'anni fa. Peccato però che la trama principale del film risulti confusa e contraddittoria (mi riferisco a tutta la storia dei cristalli, dell'isola che sorge dalle acque, della kryptonite i cui effetti sembrano poco coerenti), un difetto che la pellicola ha in comune con il primo "X-Men" di Singer. Spacey è un ottimo Luthor, la Bosworth è una Lois Lane poco credibile, mentre nel resto del cast brillano Parker Posey e (strano a dirsi) James Marsden. Poco di buono da dire invece su Routh, anche se Superman non è certo un personaggio che richieda un grande sforzo interpretativo. Nel complesso il film risulta pesante e farraginoso, e non dice veramente nulla di nuovo sull'Uomo d'Acciaio: anche i temi della paternità e della nostalgia delle proprie origini sono appena accennati e sacrificati in favore di una sottotrama da soap opera che francamente lascia il tempo che trova.

18 agosto 2006

Lettera a tre mogli (J. L. Mankiewicz, 1949)

Lettera a tre mogli (A letter to three wives)
di Joseph L. Mankiewicz – USA 1949
con Jeanne Crain, Linda Darnell, Ann Sothern
***1/2

Visto in DVD alla Fogona.

Tre donne, in campagna per un picnic di beneficenza, ricevono una lettera da una comune amica che confessa di essere fuggita con il marito di una di loro. L'intera giornata trascorre fra ansie, ricordi e rimpianti, prima che il ritorno a casa al calar della sera sveli finalmente l'identità del fuggiasco. Da uno spunto semplice e accattivante, un film moderno e raffinato, sceneggiato in maniera eccellente dallo stesso Mankiewicz attraverso una serie di flashback che consentono lo studio di tre coppie diversissime fra loro per psicologia ed estrazione sociale; tre coppie ma sette personaggi, contando anche la misteriosa rubacuori Eva Ross che non si vede mai in volto ma che è il motore di ogni vicenda, sempre presente in ogni discorso quando addirittura non è la narratrice del film stesso. Proprio le caratterizzazioni dei personaggi rappresentano il punto di forza della pellicola. I dialoghi sono arguti e serrati, le attrici ottime (che bella la Darnell!) e affiancate da bravi attori come Kirk Douglas e Paul Douglas (nessuna parentela). Oltre che mostrare tre esempi diversi di matrimonio (due d'amore, ma con il coniuge maschile o femminile dipendente dall'altro socialmente ed economicamente; uno d'interesse), il film è anche un ottimo esempio di ritratto sociale e, fra i tanti temi che sfiora, ci sono le divisioni fra classi, la dialettica fra denaro e cultura, l'invadenza della pubblicità e della radio (non c'era ancora la TV in ogni casa), il consumismo, l'arrampicata sociale, oltre che naturalmente la vita di coppia, l'amore, la rivalità e la comprensione fra coniugi. Tratto da un romanzo di John Klempner (dove le mogli erano cinque!), il film vinse due Oscar: per la sceneggiatura e per la regia. Nell'edizione italiana, come capitava spesso a quei tempi, quasi tutti i nomi sono cambiati o storpiati (Eva, per esempio, in originale si chiama Addie). Il film affascinò particolarmente François Truffaut che ne scrisse così: «Ho rivisto di recente "Lettera a tre mogli" e ho pensato di non ignorare più niente di Joseph Mankiewicz. Brillante, intelligente, tutto eleganza, gusto e raffinatezza (...) Quasi diabolico per precisione, abilità e sapienza (...) Un senso della durata delle inquadrature e dell'efficacia degli effetti che non si ritrova che in Cukor».

17 agosto 2006

Il castello di Dragonwyck (J. L. Mankiewicz, 1946)

Il castello di Dragonwyck (Dragonwyck)
di Joseph L. Mankiewicz – USA 1946
con Vincent Price, Gene Tierney
**1/2

Visto in DVD alla Fogona.

È il film d'esordio di Mankiewicz, fino ad allora solo sceneggiatore e produttore. Ispirato in parte alla fiaba di Barbablù, si presenta come un noir gotico ricco di fascino e atmosfera, nel quale più che la protagonista (la bella Gene Tierney) spicca il personaggio di Vincent Price, nobile latifondista fascinoso e folle che si atteggia a padrone feudale nel cuore degli Stati Uniti (siamo a metà del diciannovesimo secolo). Ossessionato dal potere e dal desiderio di tramandare il proprio nome, ha gioco facile nel sedurre l'ingenua ragazza venuta dalla campagna che sogna a occhi aperti il lusso rappresentato dalla solennità del suo castello, dagli abiti, dalla servitù. Grande importanza viene data ai conflitti di classe (fra il nobile e la ragazza, gli agricoltori, il giovane medico), ma non mancano nemmeno alcuni tocchi che, in un altro film, si potrebbero definire da horror: il maniero è oscuro e maledetto, è stato testimone di vicende tragiche e crudeli e nelle sue sale risuona il canto di un fantasma. La sceneggiatura (dello stesso Mankiewicz) è tratta da un romanzo di Anya Seton. I genitori di Gene Tierney sono interpretati da Walter Huston e Anne Revere. Musiche di Alfred Newman. Fra i produttori, oltre a Darryl F. Zanuck, figurerebbe Ernst Lubitsch, ma non è accreditato: in effetti in un primo momento il film avrebbe dovuto essere diretto proprio da Lubitsch, con Gregory Peck come protagonista, ma il grande regista dovette rinunciare per motivi di salute (sarebbe morto l'anno seguente).

16 agosto 2006

Non ci sarà licenza oggi (Gordon, Tarkovskij, 1959)

Non ci sarà licenza oggi (Segodnja uvolnenija ne budet)
di Aleksandr Gordon, Andrej Tarkovskij – URSS 1959
con Oleg Borisov, Aleksei Alekseev
**

Visto su YouTube, in originale con sottotitoli inglesi.

Durante alcuni scavi nella strada di una cittadina russa (il film è girato a Kursk), vengono trovate delle bombe della seconda guerra mondiale con tutto il loro carico esplosivo. I soldati si mobilitano per evacuare la città e per trasportare le bombe in una zona isolata, dove verranno fatte esplodere. Mediometraggio (47 minuti) girato da Tarkovskij insieme al compagno di corso Aleksandr Gordon mentre frequentava l'istituto di cinematografia Gerasimov a Mosca. Rispetto al precedente "Gli uccisori", il budget è più elevato (attori professionisti, riprese in esterni, uso di mezzi militari, numerose comparse). E il risultato, se non artistico, quantomeno è competente e professionale, tanto che il film (completato nel 1958) fu trasmesso dalla televisione sovietica l'anno successivo in occasione del Giorno della Vittoria (l'anniversario della fine della guerra), con ulteriori repliche negli anni a venire. Il soggetto, che si basa su fatto realmente accaduto, celebra l'eroismo e il coraggio dei soldati (e anche di qualche civile), oltre che lo spirito di collaborazione di un'intera comunità, ed è la cosa più vicina a un film di propaganda che Tarkovskij abbia mai girato in tutta la sua carriera (ma ricordiamo che si trattava essenzialmente di un esercizio per mettere in pratica le tecniche cinematografiche e gli insegnamenti ricevuti). Il titolo italiano "Non cadranno foglie stasera" (che si trova, per esempio, su Wikipedia) è una poetica ma errata traduzione dall'inglese "There Will Be No Leave Today".

15 agosto 2006

Gli uccisori (Andrej Tarkovskij et al, 1956)

Gli uccisori, aka The killers (Ubijcy)
di Marika Bejku, Aleksandr Gordon, Andrej Tarkovskij – URSS 1956
con Julij Fajt, Aleksandr Gordon
**

Visto su YouTube, in originale con sottotitoli.

Due sicari si presentano in una tavola calda, prendendo come ostaggi il cuoco e un avventore, con l'intenzione di uccidere lo "svedese" Ole Andreson, cliente abituale del locale. Tratto da un racconto di Ernest Hemingway (lo stesso alla base de "I gangsters" di Robert Siodmak), un cortometraggio di 19 minuti girato nell'autunno 1956 da un giovane Andrej Tarkovskij insieme ad alcuni compagni del corso di cinema presso l'Istituto Gerasimov di Mosca (VGIK). In particolare, Tarkovskij e Marika Bejku diressero le scene ambientate nel locale, mentre Aleksandr Gordon (che recita nel ruolo del barista) si occupò di quella nell'appartamento dello "svedese". Anche Tarkovskij ha una breve parte: è il cliente che fischietta e che ordina i panini. Pur essendo un lavoro studentesco (il set fu costruito nei locali della scuola), il risultato è assai buono, tanto che gli autori furono lodati dal loro professore, il regista Mikhail Romm. I tempi, le inquadrature, le ombre e i tagli sono degne di un noir americano. Da notare che era la prima volta che il VGIK consentiva agli studenti di basarsi su un testo straniero (l'opera di Hemingway era appena stata pubblicata in URSS: l'idea di ricorrere a un suo racconto fu dello stesso Tarkovskij).

14 agosto 2006

Padre e figlio (A. Sokurov, 2003)

Padre e figlio (Otets i syn)
di Aleksandr Sokurov – Russia 2003
con Andrei Shchetinin, Aleksei Nejmyshev
**1/2

Visto in DVD alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Padre e figlio vivono da soli a San Pietroburgo. Il padre è ancora giovanile e atletico, mentre il figlio si addestra nella locale caserma militare e studia medicina, probabilmente per tenere personalmente sott'occhio la salute del genitore. Fra loro c'è affetto e complicità: forse (in sogno?) i due sono anche amanti. Nel frattempo il giovane litiga con la sua ragazza (che lo vuole lasciare per un uomo "più adulto"), manifesta prima gelosia e poi amicizia nei confronti di un altro ragazzo venuto a cercare il proprio padre scomparso, gioca pericolosamente a pallone sui tetti. Quasi senza trama, il film di Sokurov (il secondo di una trilogia sul rapporti familiari: segue "Madre e figlio" e precede il non ancora uscito "Due fratelli e una sorella") è permeato da una luce calda e soffusa e da personaggi di una fisicità quasi eterea. Piccoli misteri, un andamento lento, atmosfere sognanti e oniriche, inquadrature sghembe e distorte, una città russa ricostruita per le strade di Lisbona: il risultato è una pellicola impressionista il cui significato però mi sfugge un po'.

13 agosto 2006

Cane randagio (A. Kurosawa, 1949)

Cane randagio (Nora Inu)
di Akira Kurosawa – Giappone 1949
con Toshiro Mifune, Takashi Shimura
***1/2

Visto in DVD alla Fogona, in originale con sottotitoli.

In un'estate torrida e afosa, un giovane poliziotto della omicidi appena entrato in servizio si fa rubare la pistola d'ordinanza su un autobus. Sconvolto dai sensi di colpa, dapprima si infiltra da solo nei bassifondi alla ricerca del ladro o del ricettatore e poi, quando la pistola è ormai caduta nelle mani di un disperato che la sta usando per commettere una serie di tragiche rapine, fa coppia nelle indagini con un detective più anziano ed esperto. Un film lungo e complesso, che nella parte centrale è quasi un buddy movie ante litteram e che sfiora temi come quello dell'origine del male (il "cattivo", che per quasi tutto il film non ha un volto, non è molto diverso dal giovane poliziotto: i due hanno preso strade diverse sotto la spinta di circostanze quasi identiche). Gran parte della pellicola, comunque, si concentra sull'indagine poliziesca, i cui momenti cruciali fanno da contrappunto alla calura estiva e al tanto atteso temporale che esplode all'improvviso. Girato subito dopo "L'angelo ubriaco", ne ripropone la grandiosa coppia Mifune-Shimura (i due attori preferiti da Kurosawa): il primo un agente nervoso e alle prime armi che arriva a mostrare comprensione verso l'assassino, il secondo un detective cinico e pacato che in carriera ne ha viste troppe per lasciarsi commuovere da un'ennesima storia tragica (mi hanno ricordato, a posteriori, Brad Pitt e Morgan Freeman in "Seven"). Finalmente libero dai dettami della censura e della politica, Kurosawa può dare sfoggio a tutto il proprio virtuosismo di regista e di sceneggiatore con una grande varietà di inquadrature e di sequenze narrative.

12 agosto 2006

Una meravigliosa domenica (A. Kurosawa, 1947)

Una meravigliosa domenica (Subarashiki nichiyobi)
di Akira Kurosawa – Giappone 1947
con Isao Numazaki, Chieko Nakakita
***

Visto in DVD alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Nel Giappone del dopoguerra, in piena ricostruzione dopo la sconfitta, una coppia di fidanzati senza grandi risorse economiche trascorre la domenica in città con soli trentacinque yen in tasca, fra piccoli divertimenti e delusioni. Lei, nonostante il momento difficile, è ottimista e sognatrice. Lui, invece, è più orgoglioso e pragmatico e sembra aver smarrito la voglia di lottare che aveva prima della guerra. Un film che appartiene al filone neorealista di Kurosawa, simile per molti versi alle pellicole che contemporaneamente De Sica e compagni giravano in Italia. Nel finale, però, il tono della storia diventa fiabesco e surreale con la scena nell'auditorium all'aperto, dove i due innamorati immaginano di mettere in scena un concerto di musica classica e dal palco coperto di foglie e spazzato dal vento si levano magicamente le note dell'"Incompiuta" di Schubert. E si giunge addirittura a "rompere il quarto muro" quando lei si rivolge direttamente agli spettatori, invitandoli ad applaudire il compagno per trasmettere sostegno e fiducia a tutte le coppie povere che cercano di mantenere in vita i propri sogni in un mondo e in un'epoca così duri e spietati ("Aiutateci a dipingere un sogno!"). Piccoli momenti magici in un film per altri versi ancora un po' grezzo, ma che riesce tuttavia a rivelare già tutte le qualità di un futuro maestro del cinema.

11 agosto 2006

Lo spirito più elevato (A. Kurosawa, 1944)

Lo spirito più elevato (Ichiban utsukushiku)
di Akira Kurosawa – Giappone 1944
con Takako Irie, Yoko Yaguchi
**

Visto in DVD alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, le operaie di una fabbrica di componenti ottici sono costrette a un intenso periodo di straordinari allo scopo di aumentare la produzione. Il secondo lungometraggio di Kurosawa è apparentemente un classico film di propaganda che in periodo bellico mira ad incensare il lavoro di squadra, la dedizione e il senso del dovere, tutti temi estremamente "giapponesi": l'eroismo è costituito da piccoli gesti e da sacrifici personali, non da grandi trionfi o da azioni eclatanti. Il regista (anche sceneggiatore) si sforza di rendere più interessante la vicenda lavorando sui personaggi e umanizzandoli il più possibile, mostrando anche i momenti di svago (le partite a pallavolo, gli esercizi musicali) e riuscendo a rendere epico persino un lavoro monotono e sfiancante come quello del controllo delle imperfezioni di lenti e focali ottiche! La pellicola ha una struttura molto semplice ed essenzialmente lineare: ogni volta che si presenta un problema, piccolo o grande che sia, viene rapidamente risolto in modo che il film possa procedere verso la sequenza successiva, in un crescendo di emozioni retoriche e patriottiche. Piccola parte per Takashi Shimura nel ruolo del direttore della fabbrica. Pare che sul set l'attrice Yoko Yaguchi, che interpreta la minuta e caparbia caposquadra Watanabe, battibeccasse di continuo con Kurosawa. Non molto tempo dopo la fine delle riprese, ne è diventata la moglie.

Nota: recentemente la Mondo ha fatto uscire in DVD gran parte dei film di Kurosawa, comprese le opere precedenti a "Rashomon" che in Italia, a parte poche eccezioni, non erano mai state viste (e molte delle quali, girate durante la guerra o immediatamente dopo, avevano dovuto fare i conti con imposizioni e censure dei giapponesi prima e degli americani poi). Purtroppo la qualità video non è sempre soddisfacente, anche se è comunque meglio delle orrende copie di Hong Kong uscite qualche tempo fa e di cui avevo malauguratamente acquistato un paio di titoli. I film sono anche doppiati in italiano, ma con voci e intonazioni così poco adatte da rendere praticamente obbligatoria la visione in giapponese con sottotitoli.

10 agosto 2006

Lamù: Sei sempre il mio tesoruccio (K. Yamada, 1991)

Lamù: Sei sempre il mio tesoruccio (Urusei Yatsura: Itsudatte my darling)
di Katsuhisa Yamada – Giappone 1991
animazione tradizionale
**

Rivisto in DVD.

Questo film è uscito in occasione del decimo anniversario della versione animata del manga, tre anni dopo il "capitolo finale" che aveva concluso ufficialmente la serie, ed è quasi da considerare uno speciale OAV celebrativo. Siamo lontani dalle ambizioni delle pellicole precedenti: qui tutto è all'insegna della leggerezza. Anche la trama non è particolarmente originale (Ataru mette le mani su un filtro d'amore ma ne cade vittima egli stesso, e finisce con lo struggersi per una principessa extraterrestre che invece intendeva usarlo per coronare il proprio sogno d'amore per un amico d'infanzia) e lo stile grafico è caricaturale, quasi stilizzato, "moderno" e più simile a Ranma 1/2 (il nuovo personaggio di Rumiko Takahashi, che a quei tempi stava spopolando in tv) che a Lamù. Non a caso nelle sale giapponesi il film era abbinato al primo lungometraggio di Ranma. Rivendendolo, comunque, l'ho forse apprezzato di più che in passato. Purtroppo a latitare è la consueta caratterizzazione dei personaggi: a parte Lamù e la new entry Lupika, il resto del cast fa appena una comparsata oppure, come nel caso di Ataru, è ridotto a una macchietta che fa il verso a sé stesso (che differenza con la profondità psicologica di "Beautiful dreamer" o "Lamù forever"!). Anche la mancanza dello staff storico della serie televisiva o dei film precedenti si fa sentire. E se rivedere sullo schermo gli abitanti di Tomobiki è sempre un piacere, rimane un certo disappunto nell'assistere a un lungometraggio che non aggiunge nulla di nuovo alla serie.

9 agosto 2006

Lamù: Boy meets girl (S. Dezaki, 1988)

Lamù: Boy meets girl (Urusei Yatsura Kanketsuhen)
di Satoshi Dezaki – Giappone 1988
animazione tradizionale
**1/2

Rivisto in DVD, con Elena.

Dal passato di Lamù giunge un oscuro pretendente al quale il nonno della ragazza aveva incautamente promesso la sua mano. Il matrimonio va a monte grazie all'intervento di tutti gli amici della graziosa extraterrestre, ma gelosie e incomprensioni provocano una clamorosa rottura fra Ataru e Lamù. Come se non bastasse, il pianeta Terra è minacciato da un'invasione di funghi giganti, per arrestare la quale Ataru si ritrova costretto a ripetere la sfida alla ragazza che lo vide protagonista nel primissimo episodio della serie. Riusciranno l'amore e il buon senso ad avere la meglio sulla testardaggine di entrambi? Del quinto film di Urusei Yatsura, noto anche come "Capitolo finale", c'è poco da dire a livello cinematografico: è l'adattamento, fin troppo fedele, del trentaquattresimo e ultimo volumetto del manga, e come tale è praticamente da considerarsi più opera di Rumiko Takahashi che degli artisti coinvolti nella realizzazione del film (uno staff del tutto nuovo: da almeno due anni Kazuo Yamazaki e colleghi erano impegnati a produrre "Maison Ikkoku"). Proprio la mancanza di input originali da parte degli animatori è il punto debole della pellicola, almeno rispetto ai film precedenti. La sceneggiatura mette la parola fine sulle vicende di Ataru e Lamù, anche se si tratta di un finale aperto, ed è incentrata quasi esclusivamente sui due personaggi principali: viene purtroppo lasciata da parte la coralità che caratterizza gran parte della serie (eccettuate un paio di sequenze, come la lotta contro il robot, che infatti sembrano un po' fuori posto). Il confronto finale fra i due protagonisti è comunque commovente ed emozionante, soprattutto per chi ha seguito l'intera serie, ma nel complesso il film non eccelle né per grafica né per animazione, e la trama non è surreale o stimolante come gli episodi di Oshii, né divertente o malinconica come quelli di Yamazaki.

8 agosto 2006

Lamù forever (K. Yamazaki, 1986)

Lamù Forever - La principessa nel ciliegio (Urusei Yatsura 4: Lum the Forever)
di Kazuo Yamazaki – Giappone 1986
animazione tradizionale
**1/2

Rivisto in DVD.

Ataru e compagni stanno girando un film horror in costume all'interno della vasta tenuta dei Mendo. Ma quando sradicano un gigantesco e millenario albero di ciliegio, liberano una misteriosa entità che si autodefinisce "la memoria di Tomobiki". Strani fenomeni atmosferici cominciano a funestare la città, che reagisce come un organismo alle prese con una malattia, mentre i suoi abitanti cadono preda di sogni bizzarri e Lamù stessa sembra svanire nel nulla... Il quarto film di Lamù è di certo quello più discusso dai fan e più difficile da giudicare. Criptico ai limiti dell'incomprensibilità, eppure a tratti lirico e struggente, è pervaso da una tristezza e da una malinconia che non svanisce neppure al momento dei titoli di coda, illustrati con fotografie color seppia dei personaggi e degli istanti più memorabili della serie e dei film precedenti. Essendo uscito in concomitanza con la fine della serie televisiva, sembra quasi che Yamazaki abbia voluto accomiatarsi dai personaggi con un film con la stessa ambizione e complessità dei lavori di Oshii e lanciando ai fan un messaggio perentorio: d'ora in poi Tomobiki e i suoi personaggi saranno solamente un sogno e un ricordo, è ora di tornare alla realtà. La stessa Lamù, a un certo punto, dice ad Ataru: "Stiamo crescendo". Resta però anche il dubbio che la trama non abbia un vero significato e che si tratti di un mero esercizio di stile. Disegni e animazione sono ad alti livelli, forse i migliori di sempre, ma la storia sembra procedere per sequenze slegate le une dalle altre (la lavorazione del film, la scomparsa di Lamù, i sogni di Mendo e Shinobu, la guerra contro i Mizunokoji che devasta la città). Mendo ha un ruolo prominente, quasi più di Ataru, e a differenza di tutti gli altri film non vengono introdotti nuovi personaggi. Nel complesso, pur avendolo visto molte volte, questo film per me resta un'incognita ancora da decifrare, ma con un'atmosfera affascinante e protagonisti mai così realistici e vivi.

7 agosto 2006

Lamù: Remember my love (K. Yamazaki, 1985)

Lamù: Remember my love (Urusei Yatsura 3: Remember my love)
di Kazuo Yamazaki – Giappone 1985
animazione tradizionale
***

Rivisto in DVD.

Tutti gli abitanti di Tomobiki (il quartiere dove abita Ataru Moroboshi) accorrono all'inaugurazione di un nuovo parco di divertimenti, il Tomobiki Märchenland (da cui prende il nome questo blog!), trovandolo popolato da strane creature. Qui un misterioso prestigiatore trasforma Ataru in un ippopotamo rosa e poi rapisce Lamù, portandola in un'altra dimensione. Scopriremo che si tratta di un suo futuro discendente, intenzionato a darle quella felicità che, secondo lui, restando con Ataru non avrà mai. La storia si intreccia con quella di una misteriosa maledizione che una strega spaziale, furiosa per non essere stata invitata alla sua festa, ha gettato su Lamù al momento della sua nascita (un chiaro rimando alla fiaba della Bella Addormentata nel Bosco). Con il terzo film dedicato al personaggio ideato da Rumiko Takahashi si torna a una narrazione più tradizionale, ma la lezione di Mamoru Oshii (regista dei primi due lungometraggi e di tante puntate della serie televisiva) non è passata inosservata. Anche se la trama principale è di puro intrattenimento ed è dominata soprattutto da temi comici o romantici, non mancano alcuni dettagli più "inquietanti", sottolineati da una bella colonna sonora con due trascinanti canzoni rock cantate in inglese. In particolare ho sempre trovato suggestiva la sequenza in cui gli abitanti di Tomobiki, una volta che Lamù e gli altri alieni hanno abbandonato la Terra, si scoprono condannati a una vita "normale", quasi fosse stata la presenza della ragazza a catalizzare tutta la follia attorno a loro: e così Shinobu perde la sua forza eccezionale, Mendo non riesce più a comunicare con i polpi, il ciliegio di Ryoko non è più animato, e così via. Il messaggio di Yamazaki (che aveva preso il posto di Oshii come regista anche nella serie tv), in parte ribadito anche nel successivo "Lamù forever", è chiaro: il mondo in sé sarebbe serio e normale, è Lamù che lo rende frenetico e surreale ("Uchuu wa taihen da", "lo spazio è super bizzarro", recitava la prima sigla di coda dell'anime).

6 agosto 2006

Lamù: Beautiful dreamer (M. Oshii, 1984)

Lamù: Beautiful dreamer (Urusei Yatsura 2: Beautiful dreamer)
di Mamoru Oshii – Giappone 1984
animazione tradizionale
***1/2

Rivisto in DVD.

Intenti a organizzare il festival della propria scuola, gli studenti del Liceo Tomobiki scoprono che lo stesso giorno – la vigilia del festival, appunto – si sta ripetendo incessantemente da chissà quanto tempo, senza che nessuno di loro se ne fosse mai accorto. A intrappolarli in questo loop è stato un misterioso folletto, Mujaki, che ha voluto così esaudire il sogno di qualcuno... Il secondo film cinematografico di Lamù è il più celebre dei sei, oltre che senza dubbio – anche a rivederlo per l'ennesima volta – il più bello e suggestivo. Rispetto al precedente "Only you", Mamoru Oshii ha avuto carta bianca anche per quanto riguarda soggetto e ambientazione e ha sfruttato i personaggi di Rumiko Takahashi per creare qualcosa di molto personale (come già aveva fatto in alcuni episodi della serie televisiva). La vertiginosa vicenda onirica e metafisica che ne risulta ha poco a che vedere con lo spirito romantico e leggero del manga e si inquadra invece alla perfezione nella filmografia più “cerebrale” del regista giapponese, precorrendo opere come "Ghost in the shell", "Patlabor" e "Avalon" e anticipando forse anche film occidentali come "Ricomincio da capo", "Dark city" e "Inception". La vicenda non ha un attimo di tregua ed è piena di spunti interessanti, con situazioni inquietanti o addirittura horror (la polvere e la muffa in casa del professor Onsen, l'incursione notturna nella scuola, la tentata fuga in aereo con la devastante scoperta che il mondo intero si appoggia su una tartaruga, la "fine del mondo silenziosa", le scatole cinesi oniriche...). Oshii riflette sul rapporto fra illusione e realtà, immagina lo scorrere del tempo come un prodotto della coscienza umana ("il passato e il futuro non esistono") e si ispira in parte alla leggenda nipponica di Urashima Taro, simile a quella occidentale di Rip van Winkle (un uomo che magicamente viene esonerato dallo scorrere naturale del tempo e si ritrova in un mondo invecchiato in sua assenza). All'epoca gli spettatori rimasero interdetti e non apprezzarono più di tanto, e anche per questo motivo il regista venne sostituito da Kazuo Yamazaki alle redini della serie televisiva. Ma in seguito il film è diventato un vero e proprio cult movie e, secondo me, ha contribuito a convincere persino la Takahashi che i suoi personaggi avevano un potenziale ben maggiore di quello inizialmente pensato. Peccato che il doppiaggio italiano lasci alquanto a desiderare, anche in confronto a quello altalenante della serie tv: la voce di Ataru è orribile, e ci sono un po' di errori di traduzione. Molto bella la canzone sui titoli di coda, "Ai wa boomerang".

5 agosto 2006

Lamù: Only you (Mamoru Oshii, 1983)

Lamù: Only you (Urusei Yatsura: Only you)
di Mamoru Oshii – Giappone 1983
animazione tradizionale
***

Rivisto in DVD.

Come suggerisce il nome di questo blog (che proviene dal terzo film della serie), "Urusei Yatsura" – da noi "Lamù, la ragazza dello spazio" – è da sempre il mio anime preferito: mi piace per l'umorismo nonsense che si alterna a scenari inquietanti, per la ricchezza e la poliedricità dei temi, per la varietà e le caratterizzazioni dei personaggi. Il successo della serie animata, tratta dall'omonimo manga di Rumiko Takahashi, ha fatto sì che nel corso degli anni uscissero nelle sale nipponiche anche ben sei lungometraggi cinematografici, i primi quattro dei quali – i migliori – realizzati in contemporanea alla serie tv (1981-1986). In Italia sono stati editi solo molti anni più tardi, con un cast di doppiatori non sempre all'altezza di quelli giapponesi.

Il primo lungometraggio, "Only You", è quello più fedele allo spirito leggero e demenziale del manga originale: non per nulla è l'unico (oltre al quinto, "Boy meets Girl", che costituisce il capitolo finale della saga) al quale ha collaborato direttamente anche l'ideatrice dei personaggi. La maggior durata rispetto a quella di un episodio televisivo consente di imbastire una trama avventurosa di più ampio respiro, il che fornisce anche l'occasione per rivedere tutti insieme gran parte dei personaggi apparsi fino ad allora separatamente nella serie tv. Il soggetto vede Lamù, ragazzina aliena che si è trasferita sulla Terra per amore dello sventurato Ataru Moroboshi, alle prese con una pericolosa rivale, Elle, una principessa extraterrestre che intende sposare Ataru per adempiere a una promessa che i due si erano fatti da bambini. Lo stile grafico è ancora quello delle prime puntate della serie, l'animazione è su livelli più che buoni. La regia di Oshii – al suo primo film, avendo fino ad allora lavorato solo in televisione – ha poco a che vedere con le caratteristiche più filosofiche e cerebrali che diventeranno in seguito il suo marchio di fabbrica. Gran parte della storia si svolge nello spazio, il che ne fa il lungometraggio più "fantascientifico" dei sei. Da notare come la sequenza della battaglia fra l'armata degli oni (il popolo di Lamù) e quella di Elle sia chiaramente ispirata a "Macross", l'anime robotico-spaziale che in quegli anni andava per la maggiore (in Italia è noto come "Robotech"). Assai carine le musiche e le canzoni, in particolare la dolcissima "Kagefumi no waltz" che accompagna il flashback del primo incontro fra Ataru ed Elle.