27 marzo 2006

Goodbye, Dragon Inn (Tsai Ming-liang, 2003)

Goodbye, Dragon Inn (Bu San)
di Tsai Ming-liang – Taiwan 2003
con Lee Kang-sheng, Chen Shiang-chyi
***1/2

Visto qualche anno fa, al cinema Plinius, in originale con sottotitoli.

In una vecchia sala cinematografica, in procinto di essere definitivamente chiusa il giorno dopo, viene proiettato il wuxiapian di King Hu "Dragon Inn". Fra i pochissimi spettatori ci sono strani individui: alcuni forse sono spiriti e altri sono gli stessi attori del film, ormai invecchiati. Come gli spadaccini sullo schermo sono intrappolati nella locanda a combattere fra loro, così gli spettatori sembrano prigionieri nella sala mentre fuori diluvia incessantemente. I tempi appaiono dilatati, i suoni amplificati, nessuno parla mai ma il risultato è davvero affascinante, un omaggio alle vecchie sale di una volta, prima dell'era dei multiplex. L'intera pellicola, d'altronde, è un atto d'amore verso il cinema inteso non solo come arte ma soprattutto come luogo.

Dopo "Il gusto dell'anguria", mi sono voluto rivedere il penultimo film di Tsai che – a differenza dell'ultimo – non è mai uscito in Italia nel circuito dei cinema. L'avevo visto per la prima volta in occasione della rassegna dei film di Venezia. Ricordo che quasi la metà degli spettatori aveva abbandonato la sala durante la proiezione, non sopportando l'estrema lentezza del film e l'apparente assenza di avvenimenti. Io e i pochi resistiti fino alla fine eravamo poi scoppiati in un fragoroso applauso (per me sincero, per gli altri non so quanto liberatorio!). Non sarà il capolavoro di Tsai (quello forse è "Vive l'amour"), ma è uno dei suoi film più belli e paradigmatici. Forse è addirittura il meno parlato: il primo dialogo, peraltro importantissimo, arriva dopo circa 45 minuti.
Al di là dei contenuti (fra i temi c'è sempre quello dell'incomunicabilità), perché mi piace questo tipo di film? Perché lo trovo molto rilassante, anche quando sembra che non accada niente e lo schermo ci mostra per decine di minuti una panoramica sulle sedie vuote o un personaggio che cammina lentamente (magari zoppicando) lungo un corridoio. Le pellicole di Tsai Ming-liang potrebbero durare anche quattro o cinque ore, e non mi stancherei di vederle: è come osservare un paesaggio, ascoltare la risacca del mare oppure attendere un tramonto. Quanto al fatto che i personaggi parlino poco, questo aiuta a valorizzare i rumori ambientali, sempre importantissimi nei suoi film, che si tratti della pioggia che cade o dei passi di una donna che cammina.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Cedo alla tentazione di essere il primo a commentare... visto il film a Venezia ricordo l'applauso alla prima battuta dopo circa 45 minuti di film... e mi domando se hai visto Café Lumière di Hou Hsiao-hsien... e cosa ne pensi...

Christian ha detto...

Ciao Daniele, e grazie per il primo commento! "Café Lumière" non l'ho visto, ma in generale Hou Hsiao-hsien, a differenza di Tsai Ming-liang, mi annoia un po'. Di suo mi è piaciuto molto "Millennium Mambo", con la bellissima Shu Qi, e anche "A time to live and a time to die", mentre quasi tutto il resto (compresi gli osannati "Città dolente" e "Il maestro burattinaio") li ho trovati soporiferi.

BaLdUrIaN ha detto...

Mitico, il film che più mi aveva fatto dormire a Venezia quell'anno. Devo dire che, in quel della Mostra, di film brutti ne ho visti parecchi (qualcuno ha detto Musikanten?) ma di questo mi ricordo ancora le reazione degli spettatori all'uscita.

L'inquadratura fissa sulle sedie della sala di una lunghezza estenuante (mi pare di ricordare più di 10 minuti) è quasi epica.